Quando l’autunno lo si avverte solo di sera e le giornate sono calde come in una fresca estate, andare a mare e passeggiare è un obbligo morale.
Abbandonare la città di Lecce, il traffico bloccato in lunghe code tra rondò e lavori, e recarsi in una delle sue marine è quasi necessario. Si arriva così a San Cataldo, i lidi per “vip”, e un piccolo faro a ricordare un approdo, un porto. Togliere le scarpe e camminare sulla sabbia e poi entrare in acqua, bassa marea, i metri dove ci si bagna solo fin sulle caviglie sono tanti. Acqua fresca, sui piedi caldi.
Osservare ciò che resta di un antico molo, blocchi di pietra sul mare e sotto l’acqua intravedere il passato il porto antico, realizzato probabilmente per volontà dell’imperatore Adriano. Sull’antico tracciato, all’inizio del Novecento, un nuovo molo riutilizzando i blocchi già esistenti ha perso la sua battaglia con la natura.
Sotto i piedi la sabbia inghiotte le dita, restare immobili è cedere sotto il proprio peso centimetri di noi stessi. Ancorarsi è sprofondare, così d’un tratto sollevare le gambe è necessità che richiede uno sforzo non comune. Opporsi ad una forza, lui il molo, quello antico, lo fa ogni giorno da secoli. Resiste e attende un nuovo intervento che lo riporti alla luce.
Tornare a camminare, verso riva, verso l’approdo, sicuro. Attendere che i piedi si asciughino al sole osservando il vicino faro e voltarsi dall’altra parte e osservare la costa a sud. Tra l’asfalto e l’azzurro, una striscia di costa, sabbia dorata, i lidi aperti aspettano l’inverno. Che tarda ad arrivare.