Uscire dal porto, puntare un isolotto, a due chilometri dalla costa, osservare la terra affiorare dal mare, mentre il vento gonfia le vele.
L’isolotto di Sant’Andrea, svela la sua arida bellezza al navigatore costiero che ha lasciato il suo approdo, Gallipoli, per una sfida in mare: provare la barca, le vele, prima che arrivi l’inverno perché sia pronta in primavera per mille nuove avventure. Un isolotto che sarebbe potuto diventare privato ma che un coro di voci ha, perorando la causa del bene pubblico, conservato per tutti. Terra sulla quale fermarsi lì dove la luce del faro, costruito nel 1866, segnala ai marinai, per venti miglia marine, la sua presenza.
Il faro, bianco, alto 45 metri, domina la parte sud dell’isola. A nord un bacino dove crescono i giunchi. La terra arida, che le mareggiate coprono di sale, è l’unico sito in cui nidifica, sul versante ionico e adriatico dell’Italia, il gabbiano corso. Area naturale protetta ospita specie botaniche di elevato valore scientifico.
Il vento conduce l’imbarcazione verso il suo nuovo approdo, al timoniere non resta che seguire la rotta. Achitotus, terra arida, come era chiamata nell’antichità aspetta mentre il sole dona nuovo bianco al faro. L’isola di Sant’Andrea, nome scelto dai bizantini che vi costruirono una cappella, attende il suo osservatore, lo invita, lo seduce con il suo fascino. Terra circondata dal mare, nei fondali i pesci nuotano sereni, sopravvive alla furia delle tempeste, e osserva Gallipoli, la città, le costruzioni che avanzano e conquistano spazi.
Gettare l’ancora? Perché no, cambiando prospettiva.