Nel suo racconto c’è una poesia struggente e dolorosa, la malinconia di quello che non potrà essere, legata ad un flebile filo di speranza.
“Non smettere di aspettarmi”, scrive Michele alla sua Nené nel racconto d’esordio di Giulia Arnoldi “Appena prima dell’ultimo accordo”, con il quale ha vinto il premio Campiello Giovani 2024
Un racconto che ha il sapore delle parole di De Andrè, dove i corpi dei soldati ammazzati sono petali di una margherita.
Giulia, 19 anni, appena diplomata, da Sforzatica Santa Maria d'Oleno, piccolo centro confluito nel comune di Dalmine in provincia di Bergamo ci racconta la sua storia.
Hai 19 anni e hai appena vinto il Campiello Giovani, che turbine di emozioni stai vivendo ora?
Sono ancora confusa. Non ho ben capito come sia successo, è stata una vittoria inaspettata e per questo forse ancora più bella. Sono felice e orgogliosa come spero di essere sempre, ma sono anche consapevole di avere molto lavoro da fare. Grazie al Campiello ho conosciuto ragazzi incredibili, giovani scrittori e giovani scrittrici con cui condividere passioni ed esperienze. Da loro ho imparato moltissimo e cercherò di applicare tutto quello che mi hanno insegnato nella vita e nella scrittura.
Scrivi di un soldato in guerra, uno dei tanti che perse la vita sul Monte Cengio. Perché hai deciso di scrivere una storia tanto dolorosa e come ti sei avvicinata a Michele?
La storia di Michele è arrivata quasi per caso, durante un'uscita didattica sul Monte Cengio. Salendo verso la cima mi sono guardata intorno e ho percepito il peso che quel luogo porta con sé. Non volevo rovinare il momento prendendo il telefono dallo zaino e non avevo a disposizione carta e penna, così ho chiesto ai miei compagni di classe di ricordarmi alcune parole, ho ancora la lista nelle note: sole, muschio, nebbia, bacche, acqua. Loro lo hanno fatto e io durante il viaggio di ritorno ho iniziato a scrivere un breve incipit, che poi è diventato proprio l'inizio del racconto. Così ho deciso di raccontare la storia di Michele, un giovane soldato che cerca disperatamente qualcosa che lo tenga legato alla vita nella drammaticità della situazione in cui si trova. All'interno del suo nome non viene mai esplicitato, se non nell'ultima riga e nelle lettere che spedisce ai propri cari, perché la storia di Michele è in realtà la storia di tutti i soldati, della Prima Guerra Mondiale e in qualche modo anche di oggi. Credo infatti che oggi più che mai sia importante parlare di guerra e ricordare che tutti i conflitti hanno qualcosa in comune, a prescindere dal periodo storico di riferimento.
Ci parli del tuo rapporto con la scrittura?
L'amore per la scrittura nasce come conseguenza dell'amore per la lettura. Da bambina mi leggevano libri e storie, poi ho imparato a farlo da sola e alle scuole medie ho iniziato a scrivere i miei primi testi. Oggi non ho il coraggio di rileggerli perché credo siano davvero terribili, ai tempi però mi piacevano e così ho continuato a provarci. In prima superiore ho partecipato al mio primo laboratorio di scrittura creativa e poi non ho più smesso. Uso molto la prosa, ma amo scrivere poesie, anche se non ne sono capace. Credo che la poesia sia la forma più vera e autentica di letteratura, una ricerca personale prima di essere ricerca per gli altri. In ogni caso credo che la frase più adatta per descrivere il mio rapporto con le parole sia quella che mi è stata detta quando durante un incontro chiesi a un autore dei consigli per giovani aspiranti scrittori: “Lasciati ispirare, dai libri e dalle persone”.
I libri ci consentono di vivere vite che non abbiamo vissuto. Dopo Michele, chi altro sarai?
Non so quante o quali altre storie troveranno un modo per essere raccontate come è accaduto per Michele: spero molte, ma soprattutto spero buone. Per ora sto viaggiando con un cittadino della DDR a Berlino Est. Una delle prossime tappe è qualche vigna in mezzo alle colline venete. Poi si vedrà.
Ti sei appena diplomata in relazioni internazionali per il marketing e il tuo racconto appena premiato fa promettere in un futuro da scrittrice, quale strada imboccherai?
Sono molto fiera della scuola che ho frequentato, le materie tecniche mi hanno formato moltissimo e quelle umanistiche non sono mai state trattate con superficialità, a dispetto di quello che si possa pensare. Dopo cinque anni di relazioni internazionali, però, ho semplicemente capito che l'economia aziendale non sarà mai la mia strada e così ho scelto di studiare Lettere all'università. Nella vita vorrei essere d'ispirazione per qualcuno - come altri sono stati d’ispirazione per me - con la scrittura e con l’insegnamento. Sia alle scuole medie che alle superiori ho avuto la fortuna di incontrare insegnanti che sono stati fondamentali durante il mio percorso e così mi piacerebbe seguire il loro esempio, senza smettere mai di scrivere, ovviamente.
Alcuni libri diventano parte di noi, in qualche modo determinano ciò che diventeremo. Quali sono i libri che ti compongono?
Uno degli scrittori che prediligo è Dostoevskij, soprattutto nei racconti. Se dovessi però “scompormi” in libri, ne citerei alcuni che mi legano a persone ed esperienze e che non rientrano necessariamente tra i miei libri preferiti: “L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón, “On writing” di Stephen King, “L'eleganza del riccio” di Muriel Barbery, “Novecento” di Baricco. E poi, indubbiamente, “La tempesta” di Shakespeare.