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Pierluigi Cappello, poesie dirette

Pierluigi Cappello, poesie dirette

Nessuno sfoggio, non c’è la ricerca dell’accuratezza, le sue parole non fanno giri eleganti, non si arrampicano con trame complicate

senza orpelli.

È la poesia di Pierluigi Cappello, diretta a chi legge ed anche al suo io con cui dialoga. “Sono nato al di qua di questi fogli” scriveva in una sua poesia, lui uno dei maggiori poeti italiani, nato nel 1967 e scomparso nel 2017. Friulano, tra i suoi versi gli omaggi al dialetto, e sì è rinato al di qua dei suoi fogli. Una poesia che è via di fuga, è osservazione, è silenzio che insinua tra le parole, tra le rare presenze di punteggiatura. “Assaggia dalle mie dita un po’ di quest’acqua/ di questa che ha ancora sapore di nuvola/ che tornerà nuvola/ c’è come una desinenza concorde/ un muto cospirare di cerchi/ in questo alfabeto/ e così anche tu tornerai/ come passi adesso che passo/ senza toccarti/ è la medesima semplicità del sasso/ pronta a risolversi in polvere/ è la medesima semplicità del silenzio/ il silenzio, soltanto, perfetto”.

È una lotta, un sottrarsi, è un lento avanzare in chi legge spogliandolo, dissecandolo, analizzandolo. Poeta e lettore si trovano nudi dinanzi il manifestarsi di una forza conquistatrice e rivelatrice. La poesia di Pierluigi Cappello colma il vuoto che abbiamo dentro ci riporta ai prati verdi e ai cieli azzurri, ridona la forza di guardare oltre i vetri di una finestra.

E c’è che vorrei il cielo elementare/ azzurro come i mari degli atlanti/ la tersità di un indice che dica/ questa è la terra, il blu che vedi è mare”.

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