Ceramiche, maioliche, porcellane, cristalli. Piccoli frammenti salvati dallo scarto, cercati bussando di casa in casa.
Tessere di una civiltà stratificata che si racconta grazie ai colori, i verdi del Cinquecento, i gialli dei Seicento. Incastri perfetti, nati dalla pazienza e dalla maestria del saper mettere l’uno accanto all’altro pezzi unici, parti distinte che unite diventano storia. La storia della passione di Cristo, partendo dal Calvario, il Golgota sul quale fu crocifisso, narrandone attraverso un mosaico le sue ultime giornate, dall’arrivo alla casa di Caifa a quella di Ponzio Pilato. Il tempio di Gerusalemme e il tribunale di Erode che condannò Gesù alla crocifissione.
Le parole si mostrano attraverso le immagini e diventano preghiera.
Inizialmente erano solo cinque croci, ognuna posta accanto ad un grande masso in quella che ora è piazza Vittorio Emuanele II a Manduria. Cinque come i sacerdoti della Congregazione del Santissimo Redentore fondata da Sant’Alfonso de’ Liguori, che nel 1839 vollero dare ai cittadini un luogo all’aperto dove fermarsi e raccogliersi in preghiera, insieme.
Troppo scarno quel Calvario di croci di legno e pietra. La bellezza eleva verso Dio e l’arciprete Marco Gatti per ridurre le distanze, decise di affidare ad un artigiano di Francavilla Fontana il compito di elevare quel calvario a vette celesti. Giuseppe Renato Greco dedicò la sua intera vita a realizzare il Calvario di Manduria, tessera dopo tessera, incastro nell’incastro. Quarantacinque anni in cui ogni umile coccio, nelle sue mani, diventava parola raccontando la storia nella storia di un territorio fatto di argilla e di tutti i figuli prima di lui che hanno impastato la pietra con l’acqua.