La città non è lo sfondo, è parte della narrazione, è nella storia. Gli angoli bui e quelli luminosi, bruttezza e bellezza, male e bene. Confini.
Contrapposizioni. Limiti superabili, in un attimo, un istante. La città è Roma, la notizia di cronaca che sconvolge è l’omicidio di Luca Varani. È marzo 2016. Manuel Foffo e Carlo Prato in un appartamento in via Igino Giordani tra Collatino e Colli Aniene superano il limite, scelgono il male, uccidono. Uccidono dopo aver per ore torturato Luca.
Nella Roma senza sindaco, cassonetti ricolmi di spazzatura, topi e gabbiani che si contendono il cibo, la notizia non è più la città e il suo degrado. D’un tratto i titoli e le prime pagine sono tutte per il degrado umano, due ragazzi che uccidono un altro ragazzo.
Nicola Lagioia ascolta il telegiornale e non può sottrarsi, quella storia lo interessa, lo spiega bene il perché a pagina 271 del libro La città dei vivi, edito da Einaudi.
È un lavoro meticoloso quello dello scrittore barese, incontra gli investigatori, gli inquirenti, i giornalisti che seguono il caso. Incontra amici e conoscenti degli imputati, i parenti della vittima. Frequenta il mondo buio di quella Roma che è anche la sua città. Si documenta, faldoni di carte con anche gli interrogatori e le deposizioni, le intercettazioni e le sentenze. Lagioia ci porta cauto a quel marzo, in quell’appartamento e in tutto ciò che c’è fuori. Ci porta tra fiumi di coca e deliri. E soprattutto ci porta dentro alla natura umana, ci porta al punto in cui l’equilibrio si rompe, al bivio si sceglie la strada, sbagliata. “Cosa succedeva a chi non si fermava, o non riusciva a farlo? ... Cosa ne era di chi, immerso nell’ombra, continuava a scendere i gradini? Oltre una certa soglia si apriva un mondo sconosciuto”.