Lo avevo trovato lì, solo, nella campagna tra gli ulivi. Già al mio arrivo qualche lustro fa, viveva resistendo alle stagione senza alcun aiuto.
La chioma carezzata dal vento che prima di lei aveva sfiorato il mare, il tronco radicato nel terreno pietroso, i rami già carichi di preziosi frutti. Intorno a lui avevo creato un orto, un frutteto, con gelsi e fichi. Non aveva battuto ciglio, è sempre rimasto lì, solitario, fiero, rinnovando anno dopo anno i suoi doni.
È qui da più tempo di me, conosce i segreti di questo luogo, ascolta i messaggi che arrivano dall’altra sponda del mar Adriatico, portati dalle onde sospinte dal vento. Ascolta le grida allegre dei bambini sugli scogli e quelle disperate di chi annega, ascolta il canto degli uccelli innamorati e osserva le fusa del gatto coccolato da un giovane umano. Guarda con aria perplessa il nuovo contadino che coltiva l’orto, sorpreso dal cavolo cappuccio e dai fiori di zucchina che crescono rigogliosi. Lui non ha mai avuto bisogno di cure e le potature un fastidio cui sottostare senza emettere alcun gemito. Ha solo un’ambizione donare a se stesso ogni anno nuove e buone pere.
Raccoglierle è dirgli grazie, riempire cestini è riconoscere la sua superiorità. Tra i suoi rami un pettirosso si riposa all’ombra, la pancia gonfia di fichi, mentre ogni tanto cinguetta e non è un tweet di un politicante, è un messaggio, un suono denso di significato. Da un gelso lontano una risposta, è conversazione tra pettirossi.
Cosa si diranno? Forse parlano d’amore. Il pero sorride, lui avrà capito, saprà cosa si saranno detti.
Una piccola lucertola sale sul tronco a prendere il sole. Il pero lascia fare, solitario, fiero, pacifico.