Saranno pronte a San Giovanni, ripeteva l’anziana donna vestita di nero, mentre osservavi con aria curiosa gli alberi bassi dei fichi.
Saranno pronte le fiche il 24, ripeteva, che qui il frutto è declinato al femminile, prelibatezze da cogliere e da divorare. Nel mese di giugno finita la scuola raggiungevi la dimora in campagna, lontano dallo smog della città, e ti immergevi nei profumi della terra. La parte esploratrice che era in te prendeva il sopravvento, abbandonate le consuetudini ti inoltravi tra gli alberi e i rovi, le more sarebbero maturate a fine luglio. Conoscevi ogni pianta di quel posto che nella tua infanzia era il giardino incantato, quello dei sogni, delle magie anche notturne con le lucciole a imitare le stelle.
Gli anni erano passati rapidi mentre tu crescevi spensierata, osservarti ora dalla finestra della casa confinante è guardare una giovane donna. “Il 24 giugno il giorno di San Giovanni le fiche saranno buone da cogliere”, ti ascoltavo ripetere con aria canzonatoria mentre l’anziana donna scuoteva il cavo. E ridevi come anni prima quando in una fresca mattina di luglio avevi chiamato i tuoi amici a fare razzia di fichi. Ne erano rimasti ben pochi sugli alberi, mentre tu insegnavi nomi improbabili in un dialetto che non ti apparteneva, casciteddre, culummi, culummare, marangiane, della monaca, balsamene. I tuoi amici riempirono cesti da portare in dono alle loro famiglie.
Quell’anno i cannizzi restarono vuoti, nessun fico da far seccare al sole, nessun rituale da compiere ogni quattro ore. Non c’erano metà, sulle distese gialle di canne, da girare. Quell’anno non hai potuto cuocere nel forno a fuoco lento i fichi secchi con mandorle o agrumi nel mezzo, scorte per l’inverno. Eri partita nei primi giorni di settembre prima che fossero pronti i nuovi frutti.
Guardarti sorridere ora è riascoltare la tua risata di allora.