L’oro del tramonto si riflette sulla facciata di pietra bianca di Carovigno e di carparo, tingendo l’aria di rosa e di un caldo giallo.
Un abbraccio che custodisce l’incanto. Fiori, denti di sega, spine di pesce, scacchiere e zig zag disegnano un insieme unico che ti invita a non distogliere lo sguardo, non voltarti. Resta fisso sulla bellezza di un’opera che ha superato i secoli, le brutture e le devastazioni che ha subito.
Un susseguirsi di affronti a tanta bellezza che un tempo non era da preservare, ma da sporcare, deturpare. La chiesa di Santa Maria del Casale a Brindisi è una perla, incastonata nel filo spinato delle troppe aree militari di una città invasa e conquistata. Al centro di tutti quei limiti invalicabili svetta alta nel cielo la chiesa nella quale, per volontà di Papa Clemente V, nel maggio del 1310 fu tenuto il processo ai cavalieri templari del Regno di Sicilia. L’ordine fu soppresso due anni dopo con bolla papale, l’accusa di “eresia, idolatria e cose nefande” fu confermata dalla sentenza del tribunale brindisino.
San Francesco si riposò al suo interno, protetto dall’immagine della Madonna che un ragno impudente al suo risveglio aveva adombrato.
E’ stata caserma per volontà del governo murattiano, ha accolto gli sfollati durante i conflitti mondiali. E’ monumento nazionale dal 1875. Ha resistito a tutto, anche al malcostume, all’imbarbarimento, di un volgare modo di essere e concepire lo spazio che altrove ha sconfitto la bellezza.
E chi aveva occhi per vedere l’ha difesa, l’ha custodita e amata.
Come Raffaele Rubini, professore che il 9 settembre 1896 scrisse ai suoi concittadini per “salvare da imminente ruina un Tempio, che al pregio religioso di essere un Santuario, aggiunge l’altro di essere un Monumento non meno prezioso di Arte e di Storia…sicuro che non vi sarà Brindisino, dotato di mente e di cuore, il quale non voglia rispondere, per quanto a lui è dato, a questo mio invito”. Donò lui le prime cento lire, seguirono tanti altri.
Gli affreschi interni, il giudizio universale, una delle ultime colonne dell’Osanna custodite al suo interno. Tutto all’interno di questo scrigno che oggi risplende e reincanta gli occhi disabituati al bello.
Un tempo bisognava traghettare il corno destro del porto per raggiungerla. Come se volesse al contempo nascondersi e mostrarsi.
Oggi la corsa, la ricerca in un nulla di filo spinato e poi lei. Il cielo azzurro le fa da sfondo. La bellezza ci salverà.