Piazzetta Castromediano le vetrate sugli scavi tradiscono bruttezza nella città barocca ma è tappa forzata per poi sorprendere lo sguardo.
Togliere il fiato. Santa Croce si presenta in tutta la sua luce al turista inconsapevole, che sgrana gli occhi, spalanca la bocca dinanzi l’inaspettato, il rosone di un bianco abbagliante in un cielo azzurro o blu di Prussia. Occorre del tempo per domare la sorpresa, mutare meraviglia in curiosità. Lasciare la visione d’insieme e soffermarsi sul particolare.
Dal basso verso l’alto e poi dall’alto verso il basso. Ecco lo sguardo coprire distanze, riconoscere sezioni, mani di artisti. Gabriele Riccardi per la parte inferiore, Cesare Penna per quella superiore e Giuseppe Zimbalo per il fastigio. Le cornici a segnare le parti con le colonne, sei come le parti interne, sei come l’uomo, che morirà su croce.
Sei come le figure umane che si alternano a sette simboli di diverse culture a reggere la balaustra al cui centro la Vergine con il Bambino.
Le sei colonne divengono quattro, al centro il rosone con cinque volti nascosti tra i fregi, dall’uomo al dio. Ed infine da Dio al figlio morto in croce, santa.
Non basterebbero un paio d’ore per spiegare ogni singolo decoro, ogni singola immagine, della facciata della chiesa immutabile nella sua bellezza. Se lo chiede il turista restando affascinato da tanta maestria se tutto poi non sia ultraterreno.
Varcare la soglia, scoprire le navate, il soffitto ligneo di una basilica eretta fin dal 1549 e terminata nel 1646.
Un secolo di lavori, pazienti, sotto il sole accecante del quale la pietra rinnova il ricordo ogni giorno. E lo restituisce in tutta la sua luce. Santa Croce a Lecce.