Le ali fanno spiccare il volo verso altri mondi, altre vite, un altro spazio da abitare.
Rosse, come il cranio, di corallo. Il mare, il sangue, la vita, la morte. Jan Fabre realizza Il numero 85 (con ali d’angelo), un’opera che omaggia il culto delle pezzentelle, le anime che vagano nel Purgatorio in attesa di un’ascensione.
Bisogna credere. Credere che gli ultimi in vita possano nell’aldilà portare la grazia, essere lievi come la vita non lo è stata con loro.
Fabre si inchina alle anime del purgatorio donando la sua opera alla chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco di Napoli nel 2022. Volge lo sguardo e indugia sul Teschio Alato di Dionisio Lazzari, realizzato per l’altare maggiore nel 1669.
Qui sulla terra il respiro si fa più lento e profondo percependo altri mondi. Nella memoria delle opere di Fabre c’è tutto quello che ha vissuto lui, i suoi avi. Ci sono i suoi occhi persi davanti alle tele di Hieronymus Bosch nei due trittici da cinque metri l'uno composti da oltre un milione di scarabei thailandesi con cui ha denunciato la colonizzazione del Congo da parte del Belgio sul finire dell'800.
I contrasti si sovrappongono e diventano parti di un insieme. Pensa in grande, respira in grande. Nel 1990 copre completamente il castello di Tivoli con fogli disegnati con una bic blu.
Ampi e vasti i suoi occhi quando realizza la scultura L’uomo che misura le nuvole, un altro inchino, questa volta all'ornitologo Robert Stroud che nel momento della sua liberazione dalla prigione di Alcatraz disse che avrebbe trascorso il resto della sua vita a misurare le nuvole. Le mani di Fabre hanno memoria di tutto ciò che ha visto, letto, vissuto, sentito.
A Napoli le sue mani hanno sentito le anime di chi non ha più corpo e gli ha donato le ali per volare in Paradiso.