Trascendere il tempo e lo spazio, liberarsi con la mente dalla prigione del corpo, dalle costrizioni, dai limiti terreni e vagare in alto nel cielo senza fine.
L’uomo che misura le nuvole realizzata in bronzo silicato dall’artista Jan Fabre è un omaggio al fratello scomparso prematuramente, Emiel Fabre e di lui ne ha le sembianze, e all’ornitologo Robert Franklin Stroud, criminale per tutta la sua vita, arrestato per omicidio colposo a 19 anni, passò 54 anni in prigionia di cui 42 in segregazione, in una lunga sequela di violenze e sopprussi, commessi e subiti per tutta la vita. Fu nei primi 12 anni scontati al penitenziario federale di Leavenworth, in Kansas che iniziò a studiare i canarini, ne allevò più di 300 e divenne un luminare in materia. Fu poi trasferito ad Alcatraz e infine nel centro medico per prigionieri federali di Springfield nel Missouri dove morì all’età di 73 anni.
Fu quando uscì da Alcatraz che pronunciò la sua frase più celebre, che ispira l’opera di Fabre “d’ora in poi mi dedicherò esclusivamente a misurare le nuvole”.
Un respiro ampio e fresco, gli occhi rivolti al cielo, il vento sulla pelle, la libertà che non risiede tra quattro mura.
La capacità di sentire quell’afflato di infinito che ci faccia traboccare ed essere moto ondoso, liberando lo spirito, il corpo e il cuore dalla stagnazione.
Un sentimento comune declinato in infinite possibilità.
Cancellare il dolore, la cattiveria gli orrori e fluttuare liberi nel cielo tra candide e tenere nuvole.
Ricorda il dolore, la rabbia, la pace, la speranza del vagabondo delle stelle e le parole di London “A dispetto di tutti, io calpesterò ancora, e più d'una volta, questa nostra terra. E vi camminerò, in carne e ossa, come per il passato, principe o contadino, sapiente o stupido; a volte sulla vetta della scala sociale, a volte stritolato dalla ruota del destino.”
L’opera è in mostra sino al 1 novembre al Phest di Monopoli