Chi è il Tolstoj degli zulù? Da questa domanda nata per offendere e prevaricare nasce una delle considerazioni più vere ed illuminate.
“Tolstoj è il Tolstoj degli zulù. A meno che non si trovi il modo di ricavare un profitto delimitando le proprietà intellettuali dell’intera umanità, e farne proprietà esclusiva di una sola tribù”.
Ta-Nehisi Coates cita Ralph Wiley che in un suo scritto risponde a Saul Bellow. Illuminando un concetto talmente facile e immediato da sfuggire ai più.
Coates, giornalista (per l’Atlantic, il Time, il New York Times), sceneggiatore, (sua la storia di Black Panther) e scrittore, con Tra me e il mondo diCodice Edizioni scrive una lunga lettera al figlio ancora bambino parlandogli di razza, violenza, sfruttamento, prevaricazione, in una parola del male.
Lo fa con tutta la sincerità che un padre deve a un figlio. Evitando le prese di posizione da tifoseria da stadio, non nascondendo le contraddizioni che hanno animato il suo pensiero e cercando di non cadere nel tranello dell’odio inverso, della legittimazione di altra violenza. Cerca di scandagliare i perché e sposta l’attenzione un po’ più in là del singolo gesto. “in realtà te la stai prendendo con la tua stessa umanità, furioso contro il crimine che dilaga nel tuo ghetto, ma impotente di fronte al grande crimine della storia che ha fatto sì che i ghetti sorgessero”.
Solo calandosi in una realtà apparentemente non nostra, solo andando un po’ più in là, scavando in profondità alla radice di tutte le cose si può capire perché Tolstoj è di tutti, perché siamo un’unica umanità.
Parla al figlio di un mondo che non ha mai conosciuto altro che sopraffazione e sfruttamento violento dei corpi, perpetuato da chiunque nei confronti di tutti e ovunque. Strumenti usati per l’instaurazione di un grande potere.
Questo libro è illuminante perché pur parlando della condizione degli afroamericani in America, può esser sentito proprio da una qualsiasi minoranza sfruttata e additata come responsabile di ogni male.
E’ un libro universale che parla della distanza che “è intenzionale come lo è la legge, e l’oblio che ne segue. La distanza consente la selezione mirata tra i derubati e i predoni, i contadini e i padroni della terra, i cannibali e il cibo”.
Ed è tutto lì il problema dell’umanità, accettare più o meno consapevolmente questa divisione, questo isolamento, questa distanza che cresce tra individuo ed individuo. Una strategia voluta e pianificata per poter più facilmente muoverci come pedine l’uno contro l’altro, renderci deboli e spostare l’attenzione dalle ragioni per cui ad ogni latitudine prolifera la povertà, l’ignoranza, la criminalità, la rabbia, la violenza. E’ l’universalità di questo libro è chiara anche leggendo chi Coates cita, come il russo Solženicyn che nel suo Arcipelago Gulag scrisse “Per fare del male l’uomo deve prima sentirlo come bene o come una legittima, assennata azione”. Il resto è cronaca.