Vive nella casa dei gelsi nel suo amato Salento con quattro gatti, due cani e qualche gabbiano di passaggio. Ama più scrivere che parlare.
Graphic novel e all’occorrenza romanzi nei quali riversa storie raccolte per caso, vissute involontariamente e amate al primo istante. Ilaria Ferramosca è una scrittrice, anche se si definisce sceneggiatrice di fumetti sull’unico non amato profilo social che ha. Dopo un lungo rincorrerci ci siamo trovate, seppure a distanza.
Quando hai saputo di essere una scrittrice?
In realtà credo di non averlo mai saputo e di avere molte remore ancora oggi nel definirmi così. Penso che uno scrittore sia tale quando sente di aver raggiunto un determinato obiettivo. Forse io ne ho ancora in mente talmente tanti che non so se riuscirò mai a sentirmi davvero una scrittrice, sebbene sia ormai questa la mia professione. Per il resto, è avvenuto tutto in maniera molto spontanea. Scrivere mi è sempre piaciuto, sin da bambina; per me era qualcosa di semplice e naturale e me lo facevano notare gli stessi docenti e le compagne di classe, ai tempi della scuola. Nel lavoro che svolgevo in precedenza (in una società di selezione e formazione delle Risorse Umane), curavo spesso una rubrica di articoli su un giornale di settore. Ho scritto persino un manuale sulla valutazione delle prestazioni aziendali. Poi, un giorno, decisi di partecipare a un concorso di scrittura, lo vinsi con un racconto e questo mi incoraggiò ad andare avanti; sino al momento in cui, senza rendermene quasi conto, quello che nasceva come un hobby è divenuto il mio vero lavoro.
Nei tuoi lavori affronti spesso tematiche importanti. Pensi che le graphic novel e i fumetti consentano di arrivare a un pubblico più ampio?
In realtà credo proprio l’esatto contrario. Il retaggio che il fumetto sia solo una lettura per ragazzi è ancora molto radicato in Italia. Tutte le volte in cui sento dire “questo graphic novel è ottimo per le scuole”, non nascondo di provare un certo scoramento. E non perché sia poco importante farli giungere nelle scuole, all’opposto. Di certo le scuole sono un ottimo bacino di utenza del fumetto, ma non l’unico. La letteratura disegnata che tratta determinate tematiche e usa un linguaggio più adulto è rivolta a tutti. Anche nella narrativa esistono generi “per ragazzi” e generi aperti ai lettori di ogni età e nessuno obietta. Il fumetto non è un genere è una forma narrativa, come qualsiasi altro tipo di letteratura, solo che include anche l’immagine. Anzi, è persino una lettura più “complessa” se vogliamo, perché comporta l’integrazione dei due emisferi cerebrali. In più, non tutte le scuole ritengono il fumetto una forma di lettura culturalmente elevata. Per cui, ben vengano le scuole “illuminate” che li adottano e, d’altra parte, sarebbe bello se in Italia si comprendesse una volta per tutte che il bacino di utenza del fumetto è assai più ampio.
Charlotte Salomon, Lea Garofalo, Renata Fonte, scrivi spesso di donne forti e combattenti, ognuna a modo suo. Come ti sei avvicinata a queste figure?
Parto dall’ultima in ordine di citazione, perché Renata Fonte è stata la prima di cui ho scritto. Inoltre voglio citare Chiara Abastanotti e Gian Marco De Francisco, i miei splendidi colleghi disegnatori con cui ho realizzato le tre storie. Di Renata Fonte ho sentito parlare sin da quando ero una bambina, perché l’orrendo delitto che la riguardò avvenne in quel periodo. Mi colpì molto e la sua vicenda rimase dentro di me fino a trasformarsi in urgenza di raccontare. In Gian Marco quella stessa urgenza ha trovato riscontro, così insieme contattammo le sue due figlie. Lea, invece, è venuta da sé. Anche quella era una storia che sentivo di dover narrare, ma temevo fosse troppo presto, perché era stato appena trasmesso il film di Giordana per la TV. Fu il mio editore (BeccoGiallo) a propormela e a mettermi in contatto con la bravissima Chiara. Una storia del genere ha una forza maggiore proprio se raccontata da due donne, a mio parere, e recentemente è stata riproposta anche in allegato con “Il Fatto Quotidiano”. Charlotte, per concludere, sempre in coppia con il mio partner storico Gian Marco, è giunta quasi per caso, grazie ai racconti di un’amica operatrice culturale, Maddalena Castegnaro, che nel 2012 stava organizzando una mostra di libri d’artista a lei dedicata. Mi raccontò la sua vicenda tormentata e attualissima, per cui non potevo non proporla non appena se ne è creata l’occasione.
Qual è il tuo prossimo progetto?
Purtroppo e per fortuna, ho una mente instancabile, che resta attiva ventiquattr’ore su ventiquattro, costringendomi a rimuginare molto e a dormire poco. Di prossimi progetti ne ho tantissimi: alcuni già in uscita, altri in lavorazione e altri ancora fermi in un angolino a “lievitare” prima di essere “cotti a puntino”. Posso però parlare di quelli più imminenti. A breve, infatti, uscirà una nuova biografia a fumetti, stavolta sul genio “maudit” di Modigliani, visto che quest’anno ricorre anche il centenario della sua morte. A seguire due romanzi (di cui uno nel 2021) e stavolta parliamo di narrativa scritta e non di graphic novel. Il primo è un’avventura per ragazzi, avente come tema principale il mito di Arianna e Teseo, l’altro è un giallo, che fu finalista alcuni anni fa al premio Tedeschi di Mondadori e finalmente a breve sarà dato alle stampe. Tutti e tre saranno editi da Lisciani.