La facciata semplice e disadorna, nascosta tra i vicoli, nessuno scintillìo, solo pietre annerite dal tempo.
Solo chi entra avrà la capacità del reincanto, energia curativa dai mali moderni.
Basta un primo passo sul piperno estratto dalle rocce magmatiche per costruire la scalinata, e poi il marmo delle balaustre, il granito delle colonne, il soffitto ligneo a cassettoni, un cielo dorato di fine Cinquecento con quarantasei tavole ispirate all'ultimo manierismo napoletano.
L’incanto si manifesta in tutta la sua grandezza nella chiesa di Santa Maria la Nova di Napoli, gioiello nascosto tra i vicoli di una città senza tempo.
In alto, sempre più in alto, la cupola, cerchi concentrici senza soluzione di continuità. L’infinito prende forma, si manifesta, gli archi, tutto inizia senza mai finire, in un ciclo eterno.
Il tempo indugia nella policromia dei marmi, negli affreschi, nei quadri, nei due grandi organi a canne dei Fratelli Ruffatti accolti nelle casse antiche della cattedrale di Napoli.
È tangibile l’attimo in cui si sfiora qualcosa di più alto e bello, lo smarrimento, un solo istante, per prendere aria nei due chiostri, il maggiore dedicato a san Francesco e il minore a san Giacomo, di cui la chiesa conserva le spoglie mortali. Serratura tra due mondi, segreti custoditi sotto il porticato, tra leggenda e realtà. Il cielo torna azzurro, gli occhi sempre in alto, la bellezza è un esercizio di elevazione.
Appare il campanile costruito sulla torre maestra posta a guardia di Napoli, faro di umanità.