È il 1913, Grazia Deledda ha 42 anni, vive a Roma da 13 anni, e uno dei suoi capolavori vede la luce, Canne al Vento, prima a puntate, poi libro.
La Sardegna con tutto il suo potere ancestrale è il paesaggio, la famiglia Pintor e il devoto servo Efix i protagonisti, le cui vicende si intrecciano con quelle dei compaesani. C’è il mistero e il delitto sapientemente rivelato dall’autrice, c’è la pena e il castigo, c’è la colpa e l’abbandono, c’è l’orgoglio e lo scandalo. L’amore e la rinuncia. C’è il destino, la sorte. Ricchezza e miseria.
I quadri dipinti dalla Deledda hanno linee definite, colori vividi, ogni luogo sapientemente descritto restituisce una immagine chiara, come chiari sono i suoni della natura e le voci dei protagonisti. Tutto studiato, perfettamente in armonia, nessuna sbavatura, anche le note sentimentali e i travagli dell’anima hanno il loro colore. Le scene si susseguono come in un teatro e tutto è perfettamente visibile, palpabile, pare di cogliere il ritmo del ballo della festa, il palpitare del cuore per un feroce risveglio di una passione sopita in fondo alla rabbia e al risentimento. E lì dove sono il tormento e il dolore a parlare, il colore è il nero della notte buia senza astri, quel buio che toglie luce e fiato, nero che diventa angoscia, disperazione. Ad ogni notte segue una alba che qui è la voglia di un riscatto, è volontà di restituzione di ciò che si è perduto. Arriverà infine la salvezza, in cui tutto è perdonato e ci si riappropria del proprio destino.
La Deledda conosce gli uomini e le donne, ne conosce anima, cuore e pensieri, e la sua descrizione è talmente precisa che nulla resta nascosto, il lettore diventa partecipe, entra nei luoghi di cui legge e prova ogni singola sfumatura dei sentimenti dei protagonisti. Un libro da leggere e per questo non propongo una sinossi ma solo un brano di un dialogo.
“Ma perché questo, Efix, dimmi tu … Perché la sorte ci stronca così, come canne?
– Sì, – egli disse allora, – siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.
–Sì, va bene: ma perché questa sorte?
– E il vento, perché? Dio solo lo sa.”
E le parole di Goffredo Bellonci sono la sintesi perfetta “Canne gli uomini, vento la sorte che le piega, le schianta o le curva perché si rialzino più salde”.