Mettere su carta le proprie emozioni è una cosa che tendenzialmente le persone fanno nella penombra della loro stanza, un luogo protetto e familiare che incoraggia il confronto con noi stessi.
Scegliere di denudarsi per un pubblico è di conseguenza un atto di coraggio e soprattutto un atto di fede.
Rupi Kaur rientra nella schiera di persone che io definisco coraggiose.
“milk and honey”, la raccolta di prose e poesie che ha segnato il suo esordio letterario, ci racconta un viaggio.
Divisa in quattro parti che si chiamano rispettivamente: “il ferire”, “l’amare”, “lo spezzare” e “il guarire”, parte da un trauma (la violenza sessuale), passa per la scoperta dell’amore, attraversa il dolore della perdita e termina nella guarigione.
Il fatto che certe tematiche siano ancestrali credo sia opinione comune, ma trovare una persona che sia disposta a metterle alla portata di tutti in maniera semplice e diretta, è una rarità.
Rupi Kaur fa questo: prende le frasi che ognuno di noi ha bisbigliato nel buio della propria stanza e le piazza davanti ai nostri occhi, senza orpelli né sconti.
Ho letto e sentito critiche al vetriolo sull’eccessiva semplicità di ciò che scrive, sul fatto che “la poesia è un’altra cosa”.
Mi piacerebbe tentare di invogliarvi a leggerla provando a confutare questa affermazione.
Non so se ci avete fatto caso ma non ci sono maiuscole ne libro; questo perché l’autrice ha voluto esplicitamente che tutte le lettere e tutte le parole avessero la stessa importanza, per rimarcare il concetto di uguaglianza; la stessa uguaglianza che concede ai suoi lettori quando sceglie di proposito un linguaggio semplice e fruibile a tutti.
Già dal modo in cui è scritto, questo libro grida: “siamo tutti uguali e nudi davanti alle emozioni, non importa che titolo hai o da dove vieni, qualunque cosa tu sia potrai leggermi se lo vuoi”.
La poesia non vuole forse trasmettere un messaggio? Esiste messaggio più potente?
Inoltre mi dispiace deludere i puntigliosi ma dubito fortemente che Rupi Kaur avesse la pretesa di essere un Rilke o una Cvetaeva dei nostri tempi; l’unica pretesa che ha avanzato è quella di essere sé stessa, e lasciatemelo dire, lo fa molto bene.
La poesia non rappresenta forse il lato più puro della letteratura?
E come la definireste voi una persona che alla fine del proprio libro vi ringrazia per “aver tenuto il suo cuore fra le mani”, se non pura?
Questo libro è per chi ha bisogno della presa salda di una mano amica, e soprattutto per chi ha il grande merito di non fermarsi alla superficie.