Visioni d'insieme

Non t’amo se non perché t’amo, Pablo Neruda

Non t’amo se non perché t’amo, Pablo Neruda

Una impronta di impegno politico e amore è stata lasciata sul Novecento.

Il passo era di Ricardo Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, che cambiò il suo nome per negare la sua appartenenza alla linea paterna che ostinatamente e inutilmente gli impediva di scrivere poesie.

Decise così di chiamarsi Pablo Neruda, un omaggio al poeta ceco Jan Neruda.

A 19 anni pubblicò il suo primo libro di poesie Crepuscolario e per farlo vendette il suo orologio, un abito nero e alcuni vecchi mobili di casa.

La poesia gli fu instillata goccia a goccia da Gabriela Mistral, sua insegnante.

“Questa volta lasciate che sia felice,/non è successo nulla a nessuno,/non sono da nessuna parte,/succede solo che sono felice/fino all’ultimo profondo angolino del cuore./Camminando, dormendo o scrivendo,/che posso farci, sono felice./Sono più sterminato dell’erba nelle praterie,/sento la pelle come un albero raggrinzito,/e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,/il mare come un anello intorno alla mia vita,/fatta di pane e pietra la terra/l’aria canta come una chitarra./Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,/tu canti e sei canto./Il mondo è oggi la mia anima/canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,/lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia/essere felice,/essere felice perché sì,/perché respiro e perché respiri,/essere felice perché tocco il tuo ginocchio/ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo/e la sua freschezza./Oggi lasciate che sia felice, io e basta,/con o senza tutti, essere felice con l’erba/e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,/essere felice con te, con la tua bocca,/essere felice”.

Anni dopo anche lui vinse il Nobel, terzo sudamericano dopo Mistral e Austurias. Prima della cerimonia ricevette una lettera minatoria, annunciando che sul palco gli avrebbero tagliato la coda dello smoking in segno di protesta. Minacce che prese sul serio visto il suo travagliato rapporto con le autorità. In realtà era uno scherzo del poeta venezuelano Miguel Otero Silva.

“Toglimi il pane, se vuoi,/toglimi l’aria, ma/non togliermi il tuo sorriso./Non togliermi la rosa,/la lancia che sgrani,/l’acqua che d’improvviso/scoppia nella tua gioia,/la repentina onda/d’argento che ti nasce./Dura è la mia lotta e torno/con gli occhi stanchi,/a volte, d’aver visto/la terra che non cambia,/ma entrando il tuo sorriso/sale al cielo cercandomi/ed apre per me tutte/le porte della vita./Amore mio, nell’ora/più oscura sgrana/il tuo sorriso, e se d’improvviso/vedi che il mio sangue macchina/le pietre della strada,/ridi, perché il tuo riso/sarà per le mie mani/come una spada fresca./Vicino al mare, d’autunno,/il tuo riso deve innalzare/la sua cascata di spuma,/e in primavera, amore,/voglio il tuo riso come/il fiore che attendevo,/il fiore azzurro, la rosa/della mia patria sonora./Riditela della notte,/del giorno, delle strade/contorte dell’isola,/riditela di questo rozzo/ragazzo che ti ama,/ma quando apro gli occhi/e quando li richiudo,/quando i miei passi vanno,/quando tornano i miei passi,/negami il pane, l’aria,/la luce, la primavera,/ma il tuo sorriso mai,/perché io ne morrei”.

Sempre dalla parte degli ultimi e degli oppressi, denunciò nei suoi articoli, nelle sue poesie, nei suoi discorsi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo, come scrisse l’amato Che Guevara.

Il 6 gennaio 1948 in parlamento pronunciò il discorso Yo Acuso, nominando uno per uno i minatori del Bio-Bio imprigionati dal governo di Videla per aver scioperato contro le disumane condizioni in cui lavoravano.

Quel discorso gli costò un ordine di cattura e una vita in fuga.

“Non t’amo se non perché t’amo/e dall’amarti a non amarti giungo/e dall’attenderti quando non t’attendo/passa dal freddo al fuoco il mio cuore./Ti amo solo perché io ti amo,/senza fine t’odio, e odiandoti ti prego,/e la misura del mio amor viandante/è non vederti e amarti come un cieco./Forse consumerà la luce di Gennaio,/il raggio crudo, il mio cuore intero,/rubandomi la chiave della calma./In questa storia solo io muoio/e morirò d’amore perché t’amo,/perché t’amo, amore, a ferro e fuoco.”

I versi continuavano a sgorgare, in quell’uomo grande, eccessivo, che amava la sua terra, il suo popolo, tutti i popoli e amava le donne.

“Se saprai starmi vicino,/e potremo essere diversi,/se il sole illuminerà entrambi/senza che le nostre ombre si sovrappongano,/se riusciremo ad essere "noi" in mezzo al mondo/e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere./Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo/e non il ricordo di come eravamo,/se sapremo darci l'un l'altro/senza sapere chi sarà il primo e chi l'ultimo/se il tuo corpo canterà con il mio perché insieme è gioia.../Allora sarà amore/e non sarà stato vano aspettarsi tanto”.

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