Con un vestito grigio e rosa a quadri la sedicenne Paola Masino arriva al teatro Argentina di Roma.
Spinta dal padre vuole consegnare nelle mani di Luigi Pirandello il suo primo scritto Le tre Marie.
Pirandello lo legge e cautamente la incoraggia, prima di innumerevoli volte durante tutta la vita. Tre anni dopo conosce Massimo Bontempelli di trent’anni più grande di lei. Nasce un sodalizio artistico e personale che durerà sino alla morte di lui. Lei inizia a collaborare alla rivista di lui 900, tra le critiche e il contrasto della famiglia a quella relazione fuori dal tempo, lei figlia di Luisa Sforza, avrebbe sporcato l’alto lignaggio.
Fuggono da Roma, scelgono prima Firenze e poi Parigi. La Parigi degli anni Trenta, crogiolo di artisti e culla di ogni arte. Diventa amica di Paul Valéry, Max Jacob, André Gide, Giorgio de Chirico, Luigi Pirandello, Filippo de Pisis, di Joséphine Baker, della pittrice russa Polia Chentoff e di Kiki de Montparnasse, anima di quella Parigi rutilante.
De Pisis la dipinge, un raro ritratto femminile, il 29 maggio 1930, gli occhi grandi e chiari, le sopracciglia come ali di gabbiano, un cappello a coprirle il capo, qualche schizzo di azzurro e celeste. Null’altro. Nello stesso anno la ritrae anche de Chirico, pochi tratti a matita per immortale il volto di lei dai grandi occhi sinceri.
Di quegli anni liberi e bohèmienne rimane il mazzo da 250 carte da gioco firmate da altrettanti artisti, da Cocteau a Burri, da Carrà a Guttuso.
Sono poveri e molto felici in quegli anni e questo le basta. Nata aristocratica si ingioiella di fiori e ghirlande d’edera. Brilla di amore e libertà, quella preclusa in Italia. In una lettera alla madre nel ’46 scrive: “La nostra vita mi piace moltissimo”, e in una intervista a Sandra Petrignani disse “Era una vita meravigliosa. Eravamo poveri, ma non ce ne importava niente. Abbiamo saltato qualche pranzo e qualche cena per comprare libri, ma era una cosa normale per noi. Parigi era stupenda in quel periodo. C’erano De Pisis, Pirandello, Palazzeschi, Picasso, Valery, Max Jacob… un vero crogiolo d’intelligenza”.
Con le parole traccia una donna che non piace al regime di Mussolini, che tenta in ogni modo di boicottarla, arrivando a censurare le sue opere. Nel ’33 scrive Periferia, ottiene il secondo premio al Viareggio, ma il critico di regime Leandro Gellona, la definirà “una scribacchina”, ottenendo in cambio un telegramma con le congratulazioni di Mussolini. Qualche anno dopo scrive Nascita e morte della massaia e arriva la scure della censura. Bompiani lo pubblica nel ’45 ricevendo le solite critiche di regime che questa volta definiscono il libro “disfattista e cinico”.
Il regime non la fermerà “Oggi voglio gridare tutte le ore, i minuti, tutto il tempo fino a domani…Io la guerra la faccio da me nella mia gola con gli urli” scrive Masino.
Tornano a Roma nel luglio del ’43 con la caduta di Mussolini, ma scoprono che Bontempelli era stato condannato a morte e lei all’esilio. Si nascondono sino alla liberazione di Roma, l’anno seguente e da lì inizia un altro periodo fecondo per entrambi che fondano con Moravia il settimanale Città.
Dopo Roma, Milano, lei scrive poesie e nel ’49 è membro della giuria del Festival del cinema di Venezia.
Non amerà mai il successo fine a se stesso, l’autopromozione, i circoli e di questa vana gloria costruita a tavolino dirà “Vede, il problema oggi è che anche i più grandi artisti per entrare in un circuito di vendita, per ‘piazzare’ i loro prodotti, non possono più fare affidamento solo sul valore della propria opera. E’ necessario un apparato di sostenitori che parlano continuamente di te, che ti citano, che ti pubblicizzano, che ti invitano in televisione, alla radio. E’ necessario essere continuamente sulla scena, scrivere sui giornali, e via dicendo. Questa rete porta con sé naturalmente una serie di legami, di amicizie che ‘servono’ e quindi non rende più attendibili i giudizi della cosiddetta ‘critica’. Ma l’alternativa al compromesso è il silenzio, la povertà, l’oscurità. Non tutti si sentono di fare una scelta tanto poco produttiva. Uno scrittore, un artista, ha bisogno del pubblico. Senza un consenso la vena si inaridisce. Credo purtroppo che in una società incolta e approssimativa come quella italiana di oggi non si possa eludere un simile meccanismo”.
Dopo la morte di lui, lei vivrà 29 anni in solitudine a Roma, in quella che fu la casa dei genitori. Lontani i tempi in cui scriveva “Io, ostinata fiamma, brucio, brucio, brucio”.