Nessuno avrà mai il suo sguardo lucido e disincantato. L’intelligenza acuta e l’ironia profonda hanno intriso ogni parola scritta
da Ennio Flaiano, uno dei più grandi scrittori, sceneggiatori, giornalisti italiani.
Nel 1973 esce postumo La solitudine del satiro - edito da Adelphi - che raccoglie racconti, aneddoti, riflessioni e pensieri fugaci dello scrittore pescarese. E a distanza di più di mezzo secolo quel libro è ancora una lucida rivelazione della società italiana.
“Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? L'età mi ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri: perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerà anche invitare uno storico dell'arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco sulla nostra psicologia. In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l'arabesco. Viviamo in una rete d’arabeschi” scrive Flaiano.
È tutto lì in quelle parole cesellate perfettamente, mai una sbavatura, mai una inquadratura fuori fuoco. Ineccepibile in ogni sua riflessione. Quando non troviamo le parole per definire qualcosa o qualcuno, quando non riusciamo a fare sintesi arriva Flaiano e ci parla, “la loro volgare sicurezza, che traggono dal semplice fatto di sopravvivere, impuniti”. Di quanti avremmo voluto dirlo.
Grazie a Flaiano abbiamo le parole.
Le parole che da soli non riusciamo a trovare.