Sommare, aggiungere, stratificare, tono su tono, colore su colore sino alla totale dissoluzione.
In quell’esatto istante appare il bianco che è luce senza tono, acromatico, puro pur senza esserlo. Tutto lo spettro visibile si concentra in un solo colore, combinazione di tutti. Essere tutto, racchiudere in sé ogni sfumatura esistente lo ha reso divino. Come il Dio Bianco (Byelobog) nella cultura slava, la divinità creatrice Bumba in quella africana. I brahamani induisti, i druidi celti, i Mani egiziani, tutti assolutamente bianchi. L’istinto necessario di ricreare l’universo in un colore nasce con l’essere umano. Nel neolitico i primi esempi di bianco nato dalla frantumazione delle ossa degli animali. Millenni dopo fu ricavato dal piombo diventando di uso comune. La biacca, sostanza tossica era utilizzata per dipingere e per rendere più bianco l’incarnato di Elisabetta I che non se ne privava nonostante i danni che causava alla pelle e all’organismo. Per sostituirla, si è dovuto aspettare il bianco San Giovanni, realizzato dal carbonato di calcio. Cennino Cennini nel suo Libro dell’Arte lo definisce il bianco ideale, il bianco che nasce dal bianco (della calce) “Tolli la calcina sfiorata, ben bianca; mettila spolverata in uno mastello per ispazio di dì otto, rimutando ogni dì acqua chiara, e rimescolando ben la calcina e l’acqua, acciò che ne butti fuora ogni grassezza. Poi ne fa’ panetti piccoli, mettili al sole su per li tetti; e quanto più antichi son questi panetti, tanto più e migliore bianco”. Nel Settecento il governo francese chiese al chimico Guyton de Morveau di creare un bianco meno dannoso. Ci riuscì un assistente di laboratorio, Curtois nel 1782, realizzando all’Accademia di Digione l’ossido di zinco. Ma era troppo costoso e friabile. Nel 1916, su larga scala fu prodotto il bianco di titanio che entro gli anni Quaranta conquistò l’80% del mercato. Infinito e divino il bianco conquista il mondo e avvicina al sublime. Le Corbusier con la legge del Ripolin impone che tutte le pareti interne dei palazzi venissero imbiancate a calce perché questo “aiuta la società a disintossicarsi dai mali spirituali e morali”. Tutto, alla ricerca di purificazione e perdono, diventa assolutamente bianco. “Non è il bianco che allontana l’oscurità?” scriveva Wittgenstein nelle Osservazioni sui colori.
Travalica i confini del colore e diventa quasi un credo. Il pittore Kazimir Malevič nella sua Composizione suprematista scrisse “L'azzurro del cielo è stato vinto dal sistema suprematista, si è lacerato, è penetrato nel bianco come autentica e reale rappresentazione dell'infinito e con ciò si è liberato dal fondo colorato del cielo”.
Ma più di tutti a sublimare il potere del bianco è Herman Melville che nel suo Moby Dick ne fa il simbolo della lotta contro la balena e quindi l’assolto, l’immensità, l’indefinibile. “Forse, con la sua indefinitezza, la bianchezza adombra i vuoti e le immensità crudeli dell’universo, e così ci pugnala alle spalle col pensiero dell’annientamento mentre contempliamo gli abissi bianchi della via lattea? Oppure la ragione è che nella sua essenza la bianchezza non è tanto un colore, quanto l’assenza visibile di ogni colore e nello stesso tempo l’amalgama di tutti i colori, ed è per questo motivo che c’è una vacuità muta, piena di significato, in un gran paesaggio di nevi, un omnicolore incolore di ateismo che ci ripugna? […] Di tutte queste cose, la balena bianca era il simbolo. Perché allora vi meraviglia questa caccia feroce?”.
Contempla se stesso rivedendosi in tutti i colori che sono venuti prima di lui e dopo di lui verranno, sapendo che non c’è immaginazione abbastanza ampia per travalicare i confini del suo regno.
“Il bianco è un mondo così alto rispetto a noi che quasi non ne avvertiamo il suono, è un nulla prima dell’origine” scrisse Vassili Kandinsky che dei colori ha fatto una ragione di vita.