Le stanze senza finestre hanno le luci delle lampadine accese giorno e notte per privare lo spazio della variabile tempo e prolungare attese.
Attese, infinite, quando tutto si muove lentamente senza senso senza peso senza rispetto. Nei corridoi vuoti e disadorni i condizionatori hanno perso filtri e le piante in plastica sono appassite anch’esse, come foglie in autunno, quando tutto sembra dormire. Nei corridoi sostano incolpevoli pedine, attendono le mosse di alfieri, re e regine. La scacchiera è illimitata, le varianti infinite, le mosse incalcolabili, scacco matto al successivo riquadro. Il bianco e il nero si alternano come i buongiorno scanditi per trovare sollievo, compagnia, rassicurazione, condivisione. Le anonime pedine incolpevoli sostano sospese e l’attesa è una trascurabile conseguenza di un potere decisionale in lotta con se stesso.
Nei sotterranei si alternano processioni, non si conosce il santo al quale votarsi, eppure si segue il celebrante, nome e numero, sparisce il volto non solo dalla memoria ma dall’esistenza. Una formica solitaria fa il giro della colonna in cemento, ricorda che fuori c’è un mondo animato da guardare ancora, cielo, prato, mare, case, auto, fogli di giornale, poesie da appendere agli alberi, canzoni da cantare seguendo le note tra i cavi del filobus.
Le stanze senza finestre hanno le luci accese, finzioni di realtà possibili, il bianco è voler cancellare, sottrarre colore, rendere tutto uguale. Se solo aprissero un varco e il sole potesse affacciarsi , tutto sarebbe più caldo, confortevole, accettabile.