Fuori dalle mura del tempo, dove la pietra porta con se ere stratificate, la vita ha ancora il sapore della lotta per la sopravvivenza.
Non lo scalpitare spintonando su questo o quel palcoscenico, né la rincorsa a parole vuote sui mezzi di comunicazione e sui social. È tempo di fermarsi e pensare a come sarebbe bello se tutti tacessero all’unisono in un solo silenzio carico di significati, un immenso vuoto pieno di suoni naturali, quelli che non ascoltiamo più, persi dietro uno schermo, a sentenziare come in una deriva sociale, in una inumanità che rende spietati. Un istante per tornare a pensare alla solitudine nella moltitudine, all’essere e non all’apparire. Fuori dalle mura del tempo il cielo è il tetto sotto il quale sostare apparentemente senza alcuna protezione, esposti alle intemperie come a processi ai quali non ci si può sottrarre.
Nell’istante in cui tutto tace, il sole appare dietro nubi terrene e parla con una voce nuova, è un suono di calore, che cogliamo nel freddo dell’anima, ci sorprende e ci conquista donandoci meraviglia. Nel grigiore delle monotonie la distrazione è restare con se stessi nell’assoluto mutismo a contemplare qualcosa che sembra poterci sfuggire, in un suono nuovo, intimo, ancestrale, percorre secoli e ci giunge chiaro come una rivelazione. È il nostro respiro lieve senza oppressioni, è il sibilo d’aria, il battito del cuore, è il suono della nostra esistenza, nulla se non una manciata di anni nell’arco temporale parziale di un’epoca.
Il nostro affanno nella vita è pari alla misura della nostra consapevolezza.