Scoprire e comprendere un popolo oppresso in cerca di libertà attraverso i versi struggenti e disperati dei suoi poeti.
Minorsky nel suo Le origini dei curdi scrive “Le nazioni sono fenomeni complessi che si compongono di fattori etnici, geografici, morali, ma in ogni caso isolato, alcuni di questi fattori possono avere un ruolo determinante. Per i curdi che sono sparsi in vasti spazi e dal punto di vista somatico presentano differenze notevoli, i fattori essenziali che ne determinano la nazione sono il modo di vivere e soprattutto la lingua” fatta essenzialmente di dialetti mai unificati sotto una lingua comune: karmangi, sorani e un terzo gruppo di dialetti eterogenei dell’area meridionale. Il movimento culturale curdo ha trasmesso oralmente i suoi saperi per secoli utilizzando prevalentemente la poesia come via d’espressione.
In Poesia curda curato da Mirella Galletti in collaborazione con Kider Honahr e pubblicato da Besa 12 poeti e 2 poetesse curde in versi narrano la vita di un popolo oppresso da secoli che vive in tabù isolate sulle montagne, circondati da popoli ostili.
“Ci sarà allora amica la fortuna? Ci risveglieremo un giorno dal letargo? Dalle profondità del mondo dove si è celato, che un re si riveli a noi! L’arte della sciabola sarà riconosciuta, il valore della nostra cultura, apprezzato” scrive Ehmed Khanî invocando ciò che il suo popolo non ha. “Se non muoio stavolta senza te. Giuro di non andarmene laggiù senza te. Il mio animo è vuoto come un flauto soffre. Un paese, pieno di grida senza te. Cieca è la mia vista: non vede nessuno. Le mie ciglia sembrano chiodi senza te. Tutto il mio corpo dolorante soffre. Dalla testa ai piedi... un musicista senza te. Giuro sul sorriso dell'incantevole incontro la bevanda mia è veleno senza te. Da te le spine e le erbacce sono fiori senza me. Da me i campi dei fiori sono spine senza te. Da me l'esistenza di tutti e tutto. Disabitata questa città senza te. Ogni giorno per la separazione di quest'anno desidero la morte degli anni trascorsi senza te. Finché eri mia conoscente ero conosciuto. Adesso pelo per pelo' sono sconosciuto senza te. Del soffrire per la tua statura, gli occhi di Nali. Sono due ruscelli, anzi due fiumi senza te” i versi d’amore di Nali.
La libertà che hanno nel cuore e cercano nel mondo si legge nell’inno di Hejar “Paese mio, giuro sulle tue alte montagne paese mio, giuro sulle tue variegate ricchezze abezin paese mio, giuro sulla neve, sulla bellezza della vita sul tuo petrolio, sull'acqua, sul Tigri e sull'Eufrate finché avremo una goccia di sangue ci immoleremo per la tua libertà”.
Torna l’amore assoluto e disperato nei versi di Sherko Bekas, figlio del grande poeta curdo Fa’iq Bekas e membro della rivoluzione curda, oggi in esilio in Svezia, “Sono l'acqua... sono l'acqua l'acqua assetata... La mia fonte... nella bocca di una notte salata sgorga segue le sue onde affogate. Sono l'acqua assetata... sono il fiume di una speranza stanca verso il mare sto vagando sotto il ponte di ossa del martirio di nove anni, e del domani... passerò cancello la mia riva insanguinata. Sono l'acqua assetata più verso il sud vado più detergo il mio verso straniero nelle terre lontane. Bevono della mia sete... ed io son sempre assetato! finché mi allungo... finché apro le mie braccia verso il futuro... il mio sguardo pauroso... si sprofonda negli occhi degli antichi nuotatori... il rombo della mia gola ingigantisce e approfondisce negli orecchi, dei ciechi marinai sono l'acqua assetata... sono un ruscello... sulle mie rive la tristezza prospera il dolore... si semina e fiorisce... il ramo... indossa la corona di fuoco il sangue è un canarino... che canta. ‘Sono l'acqua assetata…' l'angosciato per le mie ferite: mi beve le zolle spaccate del campo, il complesso delle stagioni dei miei anni... mi beve Io sono... lacrima... i miei occhi mi bevono io sono... il pianto... la mia risata mi beve sono un lago silenzioso... il gorgoglio dei miei ruscelli mi beve. I miei lutti di giugno”