L’essenziale nella vita è aspettare qualcosa, scrive una delle più grandi scrittrici italiane.
L’attesa è l’unico tratto in comune tra gli esseri umani e Alba De Céspedes la racconta nel 1938 quando pubblica Nessuno torna indietro, il suo primo romanzo. Traccia una donna nuova, che non ha una sola identità preconfezionata comune a tutte, ma otto, quante sono le protagoniste. Ognuna differente dall’altra per punti di vista, desideri, angosce, paure.
Diventa subito un caso editoriale per la sua capacità di non giudicare le debolezze umane, ma di raccontarle con inusuale candore.
“Sei contenta di sposarti. Ti sposi. Ma hai riflettuto che, da quel giorno, non sarai più padrona di te? Anche quando sarai sola, una presenza, una volontà, un potere a te estraneo ti dominerà. Non serberai più nulla di tuo, neanche il nome, sarai soltanto la moglie del signor Lanziani; il quale, però, avrà il diritto di conoscere tutto di te: che fai, che pensi, e se glielo nasconderai sarà un tradimento. Anche i tuoi figli saranno suoi. Tu li metterai al mondo e lui, per legge, ne disporrà a suo piacimento” dice Augusta all’amica Emanuela.
De Céspedes anticipa le lotte femministe ma anche quelle di classe, squarciando il velo della buona borghesia “La verità è che al mondo non ci sono onesti e disonesti. Ci sono poveri e ricchi: e i poteri è inutile che vadano a gridare sotto la Bastiglia. La sola forza è il denaro. Con quello puoi comperarti anche l’onestà”. Lei figlia di un ambasciatore cubano, ricca per discendenza, è stata libera di decidere di sé e della posizione da rivestire nel suo mondo. Partigiana, fu difesa da Arnoldo Mondadori quando il regime fascista voleva impedire la pubblicazione di Nessuno torna indietro. Quelle otto figure femminili troppo lontane dal canone del regime erano un affronto. Mondadori aveva spalle larghe e non indietreggiò, come farlo davanti a una donna che a 24 anni si era fatta arrestare per la sua condotta antifascista?
“Le parole entrano nella pelle, nel sangue? Ti accorgi di respirare, forse? Eppure la vita entra in te. Così m’accade con le sue parole”. La verità l’ha resa libera. Anche quando svela il pavido tentativo dei ricchi e privilegiati di rimanere a galla in una melma di conformismo “Buttarsi allo sbaraglio…è privilegio di coloro che non hanno alcuna configuazione sociale. Gli altri, nonostante la libertà e magari la pregiudicatezza che ostentano, sono costretti da timori vaghi ma invincibili, da tradizioni che tutto, attorno, rammenta loro. Per quanto possa sembrare assurdo, la libertà é negata a coloro che non esistono soltanto in se stessi, ma anche in quanto espressione di un valore preciso, come la condizione sociale o il censo”. È umana anche la voglia di perdersi in qualcosa di effimero, in un abito firmato, un gioiello, una suite d’albergo, il sesso fine a se stesso “Il peccato non la spaventava più. Non è vero che l’anima pesa dopo il peccato: pesa nell’incertezza di compierlo; poi diviene consuetudine di vita”.
Smonta ogni convenzione, anche l’amicizia tra educande in un convitto religioso che racconta con disincanto “Non bastava l’effimera, casuale coabitazione, per formare una comunità. Silvia usava dire ‘Ci vuole una mente, un pensiero, per sorreggere insieme molte vite…anche se il pensiero non basta a sorreggere la propria’”.
Ogni parola è talmente scevra da ogni giudizio da sembrare che De Céspedes non venga dal passato, ma da un futuro a noi ignoto e seduta comodamente su una poltrona abbia assistito all’ascesa e alla caduta dell’essere umano, con una calma consapevole che tutto è, anche se non vorremmo. “La vita che viviamo si è formata sul nostro carattere, a nostra insaputa. L’altra, la vita sognata, non è che un’aspirazione estetica”.