Un viaggio nella poesia popolare delle regioni italiane, un’antologia poetica di un popolo attraverso versi noti e sconosciuti.
Un lungo lavoro di ricerca, una impegnativa selezione. È il Canzoniere italiano di Pier Paolo Pasolini edito da Garzanti con prefazione di Alberto Mario Cirese. La prima pubblicazione è del 1955, quasi 800 testi, per quello che Italo Calvino definì “un libro bello e importante. La scelta è di una bellezza davvero che supera ogni aspettativa e speranza … La tua scelta è di una grande intelligenza poetica. Da sola basterebbe a far la gloria del libro”.
È nell’introduzione al Canzoniere italiano che Pasolini svela il suo metodo di ricerca, partendo dalla storia degli studi sulla poesia popolare, e pone il problema dell’origine come atto poetico. Rivela poi i tratti salienti delle opere legate ai territori fornendo un quadro realistico del “popolo”. Calvino scrisse che nella prefazione di Pier Paolo Pasolini “ci sono quelle specie di ritrattini delle varie regioni attraverso i loro canti, che sono bellissimi … Lo scavar fuori la poesia dai testi più rozzi e avari è l’esercizio critico principe, e quello che insegna di più”.
Canti narrativi, funebri, mutos sardi, stornelli, strambotti, ninne nanne, ed anche cinque canti nel “dialetto greco-bizantino della Grecia in Terra d’Otranto”, come scritto da Pasolini per indicare la lingua minoritaria della grecìa salentina. Nelle appendici trovano dimora la poesia folclorica, i canti militari con quelli fascisti e partigiani. Ma ancor più importante è la sezione degli appunti bibliografici e note ai testi, un’antologia completa delle fonti.
Un libro di oltre 600 pagine da leggere poco per volta per comprendere quanta bellezza si celi nei versi della poesia popolare, un’opera che, sempre citando Calvino, “non è soltanto un importante libro sulla poesia popolare italiana, ma è un importante libro sull’Italia e un importante libro sulla poesia”.