Ancorati a speroni di roccia, argani e reti da manovrare con occhio allenato e braccia abituate a affondare reti, seguire banchi, restituire al sole argento.
Pino d’Aleppo i tronchi a disegnare fantastiche astronavi pronte a catturare, dalle altezze in mare, pesce a sollevare. Il trabucco o trabocco lo si trova sulla costa adriatica tra l’Abruzzo e la Puglia costa garganica. Sarebbe dei fenici l’origine. Una macchina stupenda per calare in mare delle reti fino a sei metri di profondità per poi tirarle su, pochi uomini a manovrare il sistema di argani e corde, e pescare dallo sperone di roccia.
Seguire i pesci nel loro tragitto tra i pertugi della scogliera, aspettare il momento giusto, per azionare il meccanismo che fa scendere e affondare la rete, e poi sollevarla, carica, straripante se la pesca è buona, se il mare generoso.
Osservare un trabucco nella sua inestricabile costruzione quanto abile realizzazione, è come ascoltare le voci dei manovratori, pescatori dall’alto, uno sguardo, un comando, un rapido gesto, la forza muscolare moltiplicata da argani e leve. Maestria.
Sulla costa adriatica alcuni trabucchi dimenticati ricordano storie di un tempo passato, altri restaurati trasformati in locali dove mangiare guardando il mare, altri ancora restituiti al loro antico splendore, alla loro funzione.
Ingegneria dell’uomo per sottrarre al mare risorse utili alla sopravvivenza, sfruttando correnti e venti, leve e impianti di sollevamento. Lungo la costa adriatica i trabucchi si appoggiano sul mare come ragni, tessono una tela a maglie strette, trabocchetto, e le prede intrappolate perdono vie di fuga.
Al tramonto come all’alba il trabucco rivela la sua poesia, e sono versi potenti, decisi, furiosi, delicati come il mare che carezza gli scogli.