Ho attraversato decenni per essere ancora qui, su questa terra, fertile, dove l’acqua nel sottosuolo è ricordo di antica palude.
Resto qui in attesa che l’uomo arrivi per le mie cure giornaliere. Scavare solchi intorno a me, sradicare erbacce, farmi arrampicare su solide spalliere, regolare grappoli, spargere zolfo. Su questa terra decisero di piantarmi con le mie sorelle, ceppo dopo ceppo, vite di vita. I filari regolari hanno coperto ettaro dopo ettaro, qui a Guagnano, nella provincia leccese ai confini con quella brindisina, le distese pianeggianti. Su piccoli rilievi le dimore storiche e le masserie ci sorvegliano. Interruzioni di paesaggi. E le cantine vinicole a ricordare il mio prezioso frutto. Vino.
Tutto di me utilizzano, foglie per preparare, tralci e sarmenti per giovani fuochi. Ieri ero alberello, oggi mi chiedono di produrre di più, ed io dono a chi mi ama, a chi mi rispetta ascoltando il mio tempo.
“Damme la manu de sutta lu cippune”, ricordo ancora gli amori giovanili dei contadini sotto i pergolati e lo sfiorarsi era promessa d’amore, ed ho visto anche la brutalità dello sfruttamento delle lavoratrici “e sutta lu cippune ve la faciti fare”, ed il volere era un piegarsi alla volontà dei caporali durante le vendemmie.
Sono vite, resisto, ascolto il pianto e le risate, asciugo il sudore accogliendone le gocce, aspetto i mezzi meccanici che pian piano si sono sostituiti agli uomini. Dal basso osservo gli alberi proiettare le loro chiome al cielo a catturare simpatiche nuvolette. dono la mia ombra ad una calda lucertola, aspetto primavera.