La punteggiatura è solo pausa, metrica, le parole arrivano al lettore dirette, senza mediazioni. Secche, come rami d’inverno. Come pensieri.
Poesia, versi sul mondo e sul vivere, sul restare e sul morire, sul perdere e sulla malinconia. “uno spirito logoro./ internato in un corpo./ incagliato in un mondo./ duro./ non dura molto”, scrive Antonio De Mitri in Una stagione in gabbia scenica, peQuod editore. Ingegnere biomedico, nato nel 1980 a Copertino (in provincia di Lecce), poeta e cultore di musica classica e lirica, sviluppa un percorso di ricerca nel senso dell’esistere e dell’essere. “il mio piano ultimo./ è l’ultimo piano./ di un grattacielo./ di ossa”, gioca il poeta con le parole. La sua è anche una poesia orizzontale che unisce titoli di componimenti come in Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino.
L’introduzione è di Maria Occhinegro, la postfazione di Antonio Montinaro “immergersi nei versi di Antonio De Mitri è come ripercorrere i sentieri della vita, della sua vita (questa è la mia storia, tempesta ad ogni ora, tormenta nella testa, un incendio, una foresta), ma in realtà della vita di ognuno di noi, fatta di momenti di sconforto, di dolore, di ricerca disperata di un rifugio, di dichiarata necessità di non pensare piuttosto che pregare un dio aperto a tutte le possibilità del male”.
Poesia che ha un suono, musicale, quella di Antonio De Mitri, e raggiunge l’animo del lettore, come un canto che rapisce.
“prima./ del tramonto so solo./ cantare./ e cantare so solo:/ “dopo./ il tramonto./ in vita non torno./ in vita non torno” ”.