Francois-Auguste-René Rodin dedicò quarant’anni della sua vita alla realizzazione di un’unica porta.
La porta dell’inferno del Musée des Arts Décoratifs. Un’impresa monumentale con 186 figure ispirate alla Divina Commedia di Dante, un’opera che conosceva, amava e sentiva sua.
Rodin era in grado di perdersi in ogni particolare per mesi, sino a raggiungere la perfezione. Non ebbe mai la visione complessiva di quella porta ma vedeva oltre quei blocchi di gesso e argilla.
George Bernard Shaw, che una volta posò per lui, disse che Rodin “Mentre lavorava, compiva una serie di miracoli. Dopo i primi quindici minuti, dopo aver dato ad un blocco di argilla la forma stilizzata di una figura umana, creava, con l'azione del suo pollice, un busto così vitale che avrei voluto portarlo via per togliere allo scultore la possibilità di lavorarci ancora”.
Lui di sé non ha mai usato questi toni entusiastici, “Io scelgo un blocco di marmo e taglio via tutto ciò che non è necessario”.
Tutto qui.
Quando il sottosegretario del ministero delle belle arti Edmund Turquet gli commissionò l’opera non poteva immaginava che il museo non avrebbe mai visto la luce e che le singole parti di quella incredibile porta sarebbero diventate le sculture simbolo di una nuova arte di cui Rodin era portatore.
“Un giorno si capirà ciò che ha reso grande questo grande artista è il suo essere un lavoratore con l’unico desiderio di penetrare totalmente, con tutte le forze, nell’essenza umile e severa del suo strumento. C’era, in questo, una sorta di rinuncia alla vita; Rodin riuscì invece a conquistarla proprio in virtù della sua grande pazienza: perché a quello strumento si piegò il mondo… Fece tutte quelle figure e quelle forme del sogno di Dante; Li trasse dalle profondità frenetiche dei suoi ricordi e diede loro, uno per uno, la redenzione dell'essere cose. L'indifferenza nei loro confronti sarebbe impossibile, così ha costretto il corpo del personaggio principale della porta a lasciare la sua testimonianza” scrisse di lui Rainer Maria Rilke.
La porta portò alla nascita de Il bacio, le tre ombre, l'Ugolino, il Fugit Amor, l'Uomo che cade, e Il figliuol prodigo e su tutte il Pensatore.
Rodin immaginò Dante immerso nei suoi pensieri, lo sguardo basso, la testa china. E’ un Dante che volutamente ricorda Il pensieroso di Michelangelo, scolpito per la tomba di Lorenzo de’ Medici nella sagrestia della basilica di San Lorenzo a Firenze.
Un tributo al Buonarroti di cui rimase affascinato quando ancora povero e sconosciuto decoratore, mise da parte tutti i suoi risparmi per raggiungere l’Italia e ammirare dal vivo le opere di Donatello e Michelangelo. Fu una folgorazione e come lui stesso disse “È stato Michelangelo a liberarmi dalla scultura accademica”.
Così Dante/Pensatore non ha nulla dei tratti del poeta “seduto su una roccia, Dante pensando al piano della sua poesia…sottile, ascetico, nei suoi abiti stretti, Dante separato da tutto non avrebbe avuto alcun significato. Guidato dalla mia prima ispirazione, ho concepito un altro pensatore, un uomo nudo, seduto su una roccia, i suoi piedi che lo spingevano verso l'alto, il suo pugno contro i denti, sogna. Il pensiero fertile si produce lentamente nel tuo cervello. Non è più un sognatore, è un creatore”.
Come tutte le opere di Rodin, anche il Pensatore fu duramente criticato. Troppo avanti rispetto al suo tempo, troppo libero dagli schemi classici e accademici. Ma lui non se n’è mai curato e mai ha cambiato il suo stile per ottenere il favore della critica.
Ebbe sempre certezza di sè. Quando per tre volte fu rifiutato alla scuola delle belle arti, dopo un primo momento di sconforto decise di diventare un decoratore, per potersi mantenere. Ma la sua arte, quel fuoco che ardeva dentro di lui per la scultura era sempre lì. Non aveva i soldi per fondere il bronzo e per anni nessuno poté ammirare i suoi lavori. Sino alla porta. Sino al Pensatore che è stato definito un bruto, un gorilla, un calibano. Hanno accusato Rodin di ridicolizzare la bellezza. Ma lui pensava a Michelangelo e a quella libertà ritrovata. Fuse nel bronzo quella immensa statua di due metri sapendo che così doveva essere, mosso da una semplice e umile consapevolezza “Io non invento nulla. Io riscopro”.