Danzano in fila, una dopo l’altra le perle del vestito che ondeggia, scintilla ad un ritmo che sa di follia.
“Mi trovo dove non sono, come un’ombra che mi dà invisibilità, che mi permette di vedermi dove sono assente” diceva Foucault mentre danzava, perdendosi nel ritmo incessante di quelle note che susseguendosi lo portavano fuori dal suo corpo.
E’ l’età del jazz, quella cantata nei sotterranei di San Francisco e nel Greenwich Village di New York, dove la musica scorreva senza fine e parlava un “linguaggio della corrente del fiume dei suoni, parole, buio, che portano al futuro …”.
Il più grande di tutti volava sulle note del suo sassofono, con voli picassiani di cui solo lui riconosceva traiettorie e mete. Agli altri non restava che ammirare quel volo, quella danza che la musica creava quando Bird, Charlie Parker suonava.
E quel suono indefinibile, che sfuggiva a ogni legaccio riecheggiava da parte a parte, arrivava sino ad una tromba, quella di Satchmo, Louis Armstrong che chiudeva gli occhi, soffiava con tutta l’aria che aveva nei polmoni e vedeva New Orleans, la città che gli aveva donato una ragione per vivere.
Non ci sono regole, non ci sono partiture c’è solo il genio che ammalia la folla. Miles Davis, John Coltrane e Thelonious Monk erano sullo stesso palco sinché quel suono non divenne immenso e incontenibile. Estasi e incanto.
Torbida, raschia la pelle la ballata di Billie Holiday, lasciandoci rotolare su vetri rotti. Sangue e carne. E la musica ondeggia.
Si confonde con il suono di velluto, cercato per tutta la vita da Glenn Miller. Il suo mood era una infinita serenata che salta e rimbalza, sino a “quel malinconico angelico incosciente che racchiudeva in sé tutta la storia del jazz: perché quando alzava il suo strumento e lo teneva perpendicolare alla bocca e gli dava fiato, era il più grande; e man mano che i suoi capelli si facevano più lunghi e lui più pigro e rilassato, il sassofono si abbassava; finché non si abbassò del tutto, e oggi che Young porta scarpe con la suola alta per non sentire i marciapiedi della vita, lo strumento riposa languido contro il suo petto e suona di getto frasi fredde e facili”. Lester Young suona per Kerouac che del jazz ha fatto il suono della sua vita.
Sento arrivare un suono, una voce tra tante si eleva, Etta James, e con lei alla fine ho trovato un sogno di cui posso parlare.