Una sottile ironia attraversa leggera i versi, corre sulle pagine tra il nero dei caratteri, sorride dei tormenti e delle ferite, d’amore.
Un amore che racchiude desiderio e un castigo per la mente abitata dai pensieri su ciò che è stato, ciò che avrebbe potuto essere.
“Ti sei sempre riassunta per me/ nei tuoi occhi/ Così hai dominato i miei pensieri/ sotto la forma dell’ellissi indiana/ dove su bianco smalto l’iride/ si vetrifica attorno alla pupilla/ Così sognarti/ è sempre stato guardare da lontano/ due fuochi fatui/ in un cimitero celtico/ Così la tua immagine/ è l’ultima che vede di notte il guidatore/ prima del frontale”.
Sono versi tratti da Cento poesie d’amore a Ladyhawke, di Michele Mari, Giulio Einaudi Editore.
Le poesie di Mari non sono per la protagonista del film di Richard Donner, ma sono per una donna conosciuta al liceo. Un amore taciuto e mai manifestato eppure reale, vero, intenso. Un amore ritrovato che si infrange poi nella paura di abbandonare il quotidiano.
“Ogni volta che ci incontriamo/ studio l’incanto per portarti via/ ma ogni volta/ ti giri su se stessa/ e fai ritorno al tuo confortevole averno/ Euridice che per ripetere i tuoi passi/ non hai bisogno/ della dabbenaggine di Orfeo”.
Questo libro è l’esordio poetico dello scrittore Mari. Una poesia che coinvolge, che fa riflettere e sorridere, che esalta un amore e lo sezione in tutte le complicazioni della mente ‘innamorata’.
“Tu non ricordi/ ma in un tempo/ così lontano che non sembra stato/ ci siamo dondolati/ su un’altalena sola/ Che non finisse mai quel dondolio/ fu l’unica preghiera in senso stretto/ che in tutta la mia vita/ io abbia levato al cielo”.
E se il maleficio e la dannazione separano il lupo dal falco, il giorno dalla notte, nell’eclissi della ragione ritroviamo il peso del cuore.