Siamo sempre più riflessi verso noi stessi in una spirale che si autoalimenta fino ad implodere.
Byung-Chul Han filosofo attento alle dinamiche attuali di una società neoliberista che corre troppo fagocitandosi ci presenta una nuova edizione aggiornata de La società della stanchezza edito da Nottetempo e tradotto da Federica Buongiorno.
Manca l’altro ce l’ha spiegato benissimo e in una società in cui lavoriamo per noi credendoci così liberi, la “positività del poter fare è molto più efficace del dovere. Così l’inconscio sociale passa dal dovere al poter-fare. Il soggetto di prestazione è più veloce e più produttivo del soggetto d’obbedienza”. In questo circolo vizioso che stimola all’iniziativa individuale, sollecitando ognuno a diventar se stesso prolifera i mali moderni: depressione e burnout. “La depressione è il fallimento dell’uomo tardo-moderno di essere se-stesso”.
Lo ripete in modi e ambiti diversi, l’individuo ha bisogno di riprendersi il suo tempo. Ci parla dell’essenzialità della noia, della necessità di un’attenzione profonda (quella che ci richiede l’arte o la filosofia) sostituita oggi dall’iperattenzione che ha una soglia di tolleranza della noia minima. “La noia profonda sarebbe il culmine del riposo spirituale” e con la scomparsa del riposo scompare anche la facoltà di ascoltare.
Il modo in cui riesce a collegare ogni nostra azione, pensiero ed emozione è talmente cristallino da apparirci ovvio pur non avendoci mai pensato. Ci parla della danza che è “un lusso che si sottrae completamente al principio di prestazione” e di quella capacità di vedere profondamente, come Cézanne che vedeva l’odore delle cose.
Cita Nietzsche e la capacità di “assuefare l’occhio alla calma, alla pazienza, al lasciar-venire-a-sé…a non reagire subito ad uno stimolo, bensì padroneggiare gli istinti che inibiscono”.
Ci parla di quanto abbiamo bisogno di essere stanchi. Ma non di quella stanchezza che “agisce separando, isolando” tipica della società della prestazione ma di una stanchezza “come frutto della disponibilità, anzi dell’appagamento di essere toccato e dell’essere io stesso capace di toccare”. La stanchezza, come scrive Handke, “dà il ritmo ai singoli sparsi”.
Byung-Chul Han, come abbiamo scritto tante volte, è essenziale e chiarificante. In questo come in tutti gli altri suoi libri.