Il 1 febbraio 1979 Ruhollah Khomeini torna in Iran, portando alla fuga lo scià Reza Pahlavi che governava ininterrottamente dal 1941.
Inizia la rivoluzione iraniana. Le speranze nella neonata repubblica islamica cedettero presto il posto ad una realtà fatta di guerriglie, diritti negati e libertà soppresse. Soprattutto per le donne.
In questo contesto si inserisce un manipolo di persone, qualche studentessa e la loro insegnante di letteratura che cerca bellezza e poesie tra macerie e devastazione.
“Nabokov lo aveva descritto, quello che ci sarebbe successo: avremmo scoperto come il banale ciottolo della vita quotidiana, se guardato attraverso l’occhio magico della letteratura, possa trasformarsi in pietra preziosa” scrive Azar Nafisi nel suo delicato e struggente Leggere Lolita a Teheran edito da Adelphi e tradotto da Roberto Serrai.
In un continuo rimando dagli orrori che le circondano alla bellezza che tenacemente cercano di coltivare e far crescere, nel mezzo ci sono i libri, humus della loro intera vita.
“Per sopravvivere dovevamo prenderci gioco della nostra infelicità” e lo fanno con l’aiuto della letteratura. Riescono a creare una intimità condivisa grazie a Madame Bovary, si macchiano di quella turpitudine gnostica appresa da Nabokov, imparano cosa significa la scrittura come pietra d’inciampo sociale da Henry James.
Tra serate trascorse a bere vodka alla ciliegia “con il contrappunto di qualche lontana esplosione” Nafisi racconta la vita di queste ragazze intrecciandola alla sua.
Resistere è difficile se non impossibile alle volte. C’è chi scappa, chi si uniforma al regime, chi finge che nulla di quello che sta vivendo sia vero.
“Una volta che il male viene, come dire, personalizzato, ed entra dunque a far parte della vita quotidiana, la strategia per resistervi diventa anch’essa personale, individuale. In che modo l’anima riesce a sopravvivere? E’ la domanda essenziale. E la risposta è: con l’amore e la fantasia. Stalin svuotò la Russia della sua anima spargendo la vecchia morte. Mandel'štam e Sinjavskij ricostruirono quell'anima recitando poesie ai compagni di prigionia e raccontandone nei loro diari. «Forse, rimanere poeti in simili circostanze» scrisse Bellow «è anche arrivare al cuore della politica. I sentimenti umani, le esperienze umane, la forma e il volto dell'uomo, ritrovano il posto che spetta loro al centro»”.
Scrive Nafisi e quelle parole non riguardano più solo l’Iran, il velo, la guerra, ma diventano universali offrendoci una via di fuga dai nostri personali orrori. E allora come ora, nell’Iran di Khomeini come in ognuna delle nostre case, l’immaginazione è tutto ciò che dona poesia e libertà alle nostre vite.
“Ormai mi sono convinta che la vera democrazia non può esistere senza la libertà di immaginazione e il diritto di usufruire liberamente delle opere di fantasia. Per vivere una vita vera, completa, bisogna avere la possibilità di dar forma ed espressione ai propri mondi privati, ai propri sogni, pensieri e desideri; bisogna che il tuo mondo privato possa sempre comunicare col mondo di tutti. Altrimenti, come facciamo a sapere che siamo esistiti?”.
Allora come ora. Lì come in qualsiasi angolo del mondo.