Avrei voluto vivere di più, avrei voluto avere la possibilità di lottare ancora, contro la stupidità, contro l’accanimento, contro il veleno.
Quello che ora scorre nella mia linfa. Non più vitale.
Ho attraversato decenni osservandoti dall’alto della mia fluente chioma, ti ho visto crescere piegato in due dalla fatica, ti ho visto trasformarti nell’uomo che sei: opportunista, sfaticato, indegno.
Ho osservato albe e tramonti nell’inseguirsi delle stagioni, anno dopo anno. Ho inspirato l’odore dei prati nel loro primo respiro del giorno. Ho visto acetosella coprire distanze, espandersi di terreno in terreno mentre la borragine ricopriva i margini dei muretti a secco e i narcisi tazzetta giocavano a specchiarsi nelle acque della palude. Ho ammirato cieli tersi d’azzurro e nuvole improvvise cariche di pioggia, ho provato il brivido di un mantello bianco e ho ammirato le stelle nel buio delle notti.
Pensavo di essere sapiente, di conoscere la cura per i mali del mondo. Pensavo avrei curato me stesso, ma ho fallito. Ho lottato, sì, per anni. Sono sopravvissuto a infinite operazioni e tutto è stato inutile. Ti avevo chiesto pazienza, che pochi anni son niente rispetto ai miei decenni. Ma tu avevi fretta di agire e il tuo aiuto è stato deleterio. Ho colorato sparuti rami di piccole foglie e altrettanti fiori, non è bastato. Un segno rosso, un marchio, sopra di me e ho capito che la mia fine era arrivata. Così ho rinunciato all’ultimo sforzo, l’ho ritenuto inutile e tu non meritevole.
Ora son qui accatastato con altri miei simili. Con un filo di vita attendiamo l’atto finale. Un ultimo sguardo, il cielo sopra di me, la terra sotto me, i prati pareti irriconoscibili.
Ero un ulivo ora son legna da ardere. E ti perdono.