È una poesia che corre veloce, non si ferma, riempie spazi vuoti e altri ne crea, da riempire con infinite variazioni su temi insondabili.
È uno spazio bianco che va colorandosi, è l’incanto del disincanto, è il precipitare dal sogno alla realtà e il suo esatto opposto.
È voce che da voce al pensiero, lo concretizza e se ne allontana, lasciando il compito alla mente. E la mente nel silenzio di un sabato mattina, dà tempo al verso, canta le parole come note su un pentagramma, la chiave è ciò che non c’è scritto. Dettare un tempo sapendo che non è un adagio.
È la poesia di Silvia Molesini.
“L’alba, un giorno che è arrivata/ faceva ciocco/ e la lingua leggeva la strada, una lunga/ fino lì, dove si ferma biforca e/ disapparendo/ tramonta./ Emma, ora, queste parole non arrivino/ dov’è povera lei, che sbagliava,/ e per giunta ch’adesso c’importi/ dove andasse l’alba se un giorno/ congiungeva cioccando/ con quella lunga lingua madre/ e l’asfalto, e che giungesse al bivio/ e che faceva notte:/ ai bivi hanno dedicato monumentali,/ una casa di diavolo, ella bambina infangata,/ le viteinmmorte percolanti/ come sai un’alba è arrivata al giorno sbrindellata/ e nella bocca c’era lingua bastarda e lava./ Sì che alle strade rotte guidavamo i diavoli:/ il loro poco inferno ci sembrava una sera”.
Silvia Molesini, psicoterapeuta, ci regala un Mazzo di fiorellini edito da Oèdipus.
Il suono è il rumore del vento che carezza il prato, è il sussurrarsi di piccole frasi tra i fiori recisi in un vaso. Sono parole nuove e nuovi suoni, piccoli doni di un mondo attraversato da infinite incomprensibili variazioni.
“Sembra sfilata/ abbocchiamoci/ e pende fiato e asciuga./ Non era lì ma tutto questo si/ chiamava dolore e ora si ora/ ora si chiama dolo, rifate male. È solo/ spuma, dite?, solo convivenza/ è solo convenienza, dite? eh?/ Giocare con la piccolissima, si ma/ due medaglie per uno. Giuro./ Vi mangerò il cuore impuro/ crudo”.