Tina Modotti è stata una rivoluzionaria, politica e ancor prima come artista, come donna e come essere umano.
Ha vissuto non una ma cento vite, raccontate da Elena Poniatowska nel suo Tinissima, un libro che le costa dieci anni di studio, ricerche, fatica e dolore e che ci restituisce la vita di Tina Modotti e di tutto ciò che è accaduto nell’arco dei 46 anni della sua vita.
Il libro pubblicato da Nova Delphi e tradotto da Francesca Casafina ricostruisce un’epoca intera e lo fa magistralmente.
Dall’incontro con Juan Antonio Mella, l’amore e la vita in quel Messico dove “Sono condannati, quelli che aspirano a liberarsi dalla fame. E a liberare tutti: il popolo. Perché gli altri, quelli che non sono il popolo, loro sì che si salveranno, a loro non daranno la caccia come topi di fogna, nessuno li vedrà cadere a terra e rotolare, con il sangue sparso sotto il corpo”.
Tina Modotti cerca l’amore, il comunismo e la ricerca dell’essenziale e del vero in ogni aspetto della vita, “Per tutta la vita avrebbe rifuggito le donne che ‘non si sentono troppo bene’, con gli scialli leggeri, vaporose, che aprono le gambe bianchissime come lancette di un orologio stanco, sempre in attesa di un tic-tac estraneo”.
Il rigore, l’impossibilità di aiutare tutti, la consapevolezza di essere solo un perno di un enorme farraginoso meccanismo la provano “quella sensazione di non avere spazio, di non poterlo occupare per intero, di camminare per le strade addossata ai muri, di consumarsi interiormente in questa vita che pure aveva scelto”. Ma continua ad andare avanti.
Ama Mella come ha amato tutti i suoi amori, completamente e perdutamente. Quando al suo funerale vengono regalati a tutti garofani rossi lei è come assente, fredda, quasi morta. Tutti la guardano, la vogliono, la bramano, nessuno aveva mai incontrato una come lei “una donna così in sintonia col suo corpo, come se avesse appena fatto l’amore e la pienezza della sua carne fosse contagiosa. Invitante, questo era Tina, invitava con la sua disponibilità all’abbandono”.
Era il tempo in cui Diego Rivera aveva ancora un’anima. Accantona i suoi murales per correre in suo aiuto. L’unico. Parla in sua difesa in tribunale quando la accusano di essere la mandante dell’omicidio del suo amante. L’ opinione pubblica la distrugge, la fa a pezzi, ma lei rimane integra.
Vive nel ricordo di quell’uomo che le scrisse “che amore è questo che mi porta solo alla disperazione? ti amo serenamente e tempestosamente, come ti ho detto tante volte, come qualcosa di definitivo in questa vita”. Come riuscire a dimenticarlo?
Il libro salta avanti e indietro nel tempo. C’è Edward Weston e la loro unione fatta in egual misura di fotografia, divertimento e sesso.
La fotografia rese Tinissima grande e famosa in tutto il mondo. Con lui il viaggio in Messico dove si sente come rinata “questo paese mi porta a essere migliore ogni giorno. miglior amante, miglior discepola, miglior fotografa, miglior essere umano. Qui mi costruisco e mi reinvento”. Vivono di bellezza e poesia, una poesia che si riassume 7 parole “tutti siamo esuli in cerca del paradiso”. E’ il periodo dell’amicizia con Dorothea Lange e Anita Brenner.
Ma non riesce ad estraniarsi, quel paradiso in terra che si erano ritagliati non le bastava. Leggeva i canti di Ezra Pound “quello che veramente ami rimane, il resto è scorie”. E lei amava le persone, la terra, la dignità dei popoli. Con Enea Sormenti organizza proteste e manifestazioni per Sacco e Vanzetti, era pur sempre la figlia di Giuseppe Modotti, operaio socialista che anche nella sua vita americana non dimenticava le origini. Incitava la figlia alla lotta, le parlava della grande Isadora Duncan che minacciò di ballare nuda davanti all’ambasciata per ottenere la liberazione di Sacco e Vanzetti.
L’impegno politico cresce con Sormenti, diventato poi Vittorio Vidali vola in Russia, in Germania, in tutto l’est europeo “voglio mettere tutto al centro; voglio credere che gli esseri umani condividano qualcosa, quando l’unica cosa che abbiamo in comune è la paura”.
Arriva la guerra civile spagnola e quindi Hemingway, Simone Weil, Tolstoj, la morte di Federico Garcia Lorca. Le pagine che la Poniatowska dedica alla Guerra civile spagnola sono un libro nel libro. Tina è sullo sfondo, che lotta, cura i malati, cucina per i soldati, porta in salvo gli esuli e dopo tutto quello che avrà visto “Per lei non ci sarà più una notte stellata”. Si indurisce, perde il senso di sé per la causa che è sempre più grande di lei. Incontra una giovane Gerda Taro e in lei rivede se stessa “la sua ambizione è più violenta della mia, più evidente; la mia è stata più dissimulata, ma mi pulsava dentro. Adesso non ho più alcuna ambizione, credo. qualcosa dentro di me si è fatto scuro e mi sfugge. Non so cos’è. Forse odio”.
In questo libro c’è tutto quello che è stato il primo Novecento. Guernica, con i suoi 1.600 morti e 900 feriti, il congresso internazionale degli scrittori dove Modotti fa da interprete a Malraux, Aldous Huxley, Thomas Mann, Selma Lagerlöf. C’è un tempo in cui gli intellettuali si battevano per la pace, per l’uguaglianza dei popoli, per la libertà.
E poi la parte più amara, la sconfitta che come le disse Hidalgo de Cisneros “è una malattia, un veleno; sedimenta, cresce. Finisce per contaminare anche l’organismo più sano; ci aspettano tempi di odio”.
Il ritorno in Messico, che non è più il suo Messico. Cerca una pace che non trova completamente. Il cuore pesa troppo, è un macigno. Non riesce a dimenticare tutto ciò che ha visto e sentito. Vive con Vidali, che invece si è scrollato tutto di dosso.
Tina muore sola su un taxi, mentre torna a casa.
Al suo funerale parla per lei Pablo Neruda, che le dedica una poesia, pubblicata da tutti i giornali che in vita l’avevano tanto criticata, Vittorio non va al funerale e Pablo, sommesso conclude i suoi versi “non senti un passo fermo di soldato sulla neve? Sorella sono i tuoi passi”.