Un poeta minore, forse. Sicuramente non si sforzò per avere il riconoscimento di poeta, che avrebbe forse meritato. Vittorio Pagano era così.
Lo conosceva bene Rina Durante, scrittrice e intellettuale, “Ricordo di una volta che arrivò una troupe della televisione nazionale che voleva riprenderlo. <<Spieghi al suo amico che possiamo dargli un passaggio sul due>>, mi disse il regista. Corsi da Vittorio e riferii, più o meno. Cominciò ad agitare il braccio sinistro e a passeggiare per lo studio, segno di principio di bufera. <<Ma Vittorio>>, insistei, <<si tratta di un passaggio sul due!>>. Esplose: <<Quello che mi fa incazzare e che tu pensi che la cosa mi interessi!>>. Lui credeva ancora, forse, alla fama che ti investe come un’onda, anche se te ne stai dignitosamente in disparte, e che devi accettare, quando arriva, perché è giusto così. Era a questo tipo di fama che Vittorio credeva, per questo non ha mosso un dito per andarsela a cercare”. Questa ed altre testimonianze sono riportate nel libro Vittorio Pagano, Poesie, Musicaos Editore.
Il volume, a cura di Simone Giorgino, comprende le raccolte Calligrafia astronautica, I privilegi del povero, Morte per mistero, Zoogrammi. Nella poesia Autobiografia Pagano scrive “La mia storia di carne ha ripetuto/ la pietra rotta e consacrata al muto/ rovinìo dei castelli sulla roccia/ del troglodita. Così fermo io sono,/ da riscolpirmi inutile sul trono/ che dal freddo dell’anima mi sboccia./ Superba vanità – grigio massacro/ dell’argilla che tenta il simulacro/ dell’uomo: essere chiusi, essere interi/ - ed affidarsi al transito brumoso/ dei gufi che scompaiono a ritroso, /fissando il cielo, in questi cimiteri…/ La mia storia di carne s’è smentita/ nelle macchine sorde della vita, / come l’angoscia bianca d’un poema…/ Quando nel Sud un rutilìo s’indiavola/ nelle caverne della nostra favola/ un verso è la figura di chi trema”.
L’opera poetica di Vittorio Pagano, regala emozioni, fraseggi ricercati, allusioni inconsapevoli, premonizioni “Questi soliti olivi … Ormai s’è persa/ una pena del sangue nella loro/ devastazione – al sole – che fa cenere/ e miseria: s’abbarbicano al nudo/ sasso, la terra estorcono ai contesi/ pascoli, tramortiscono il furore/ del giorno nella verde irresistenza/ del flusso in cui s’adempiono. …”
Un “ermetico proletario” Vittorio Pagano che nella sua vita non ha mai smesso di scrivere. E noi non dovremmo smettere di leggerlo.