L’arte della gioia è nato su una piccola mansarda ricavata da uno stenditoio che dava sui pini di Villa Glori a Roma.
Goliarda Sapienza lo scrisse su fogli piegati in due perché questo formato ridotto le consentiva una sua “idea di misura” e tutto rigorosamente a mano perché aveva “bisogno di sentire il battito del polso”, con una semplice bic nera.
Quel libro tanto amato la portò alla povertà più estrema e la fece anche andare in galera. Fu tacciato di blasfemia e rimase chiuso in una cassapanca per oltre vent’anni. Sapienza morì senza vederlo pubblicato.Solo la tenacia del marito Angelo Pellegrino, l’ha portato a tutti noi (il libro oggi è edito da Einaudi). Ci ha portato il dono immenso della figura di Modesta, forse una delle più libere e vere della letteratura italiana.
Modesta è tutto tranne che modesta. E’ libera, è vorace, prende dalla vita quello che vuole e le restituisce quello che può. Non si affanna a sembrare migliore di ciò che è, ma vive una vita intera rispettando il suo unico imperativo: essere se stessa. Costi quel che costi.
Modesta non fa sconti a se stessa. E proprio per questo è libera.
Libera di amare chi vuole, uomo o donna che sia ricordandoci che “L’amore non è un miracolo, è un’arte, un mestiere, un esercizio della mente e dei sensi come un altro”.
Libera di essere una principessa comunista nella Sicilia del primo Novecento, senza mai, di quella politica, esserne assoggettata, “…fra i tuoi compagni ho trovato soltanto malcelata aspirazione alla santità e vocazione al martirio. O la ferocia del dogma per nascondere la paura della ricerca, della sperimentazione, della scoperta, della fluidità della vita. Se lo vuoi sapere, non ho trovato nulla che assomigliasse alla libertà del materialismo, E sono fuggita via, sí, perché non avevo intenzione di cadere in un tranello forse peggiore della Chiesa alla quale sono sfuggita”.
L’arte della gioia è l’amore in tutte le sue forme. Ma sempre libero da catene e lacci.
Se gli si abbandona completamente “La parola cuore ripetuta dalla sua voce perde il significato ambiguo che me l'ha fatta odiare. E vedo il mio cuore, occhio e centro, orologio e valvola del mio spazio carnale. Nel buio con le palme ascolto il suo pulsare violento che dal seno alle tempie sudate grida di gioia e non si vuole quietare” non rimane cieca ai suoi inganni, non gli si assoggetta.
“Non m’incanta ‘sta prepotenza di vento, sto fumo di parola ca fuoco pari e non è”.
Non lo rifiuta perché sa che “non c’è rimedio a quella peste perniciosa che per non spaventare chiamano amore” ma ne combatte il senso del possesso. Goliarda Sapienza attraverso Modesta dice parole che ancora oggi non si dicono, ha il coraggio di credere e vivere ogni amore, anche quello filiale in assoluta libertà. “Io rigetto il tuo ricatto rispondendoti che non sono né di tua proprietà né di proprietà sua, come tu stesso non sei di proprietà assoluta di Modesta. Se possiamo amarci spassionatamente amiamoci, ma se questa tensione da proprietari terrieri si continua ad acutizzare io ti consiglio di allontanarti per qualche tempo e pensarci” dice al figlio troppo geloso del suo essere donna oltre che madre.
Modesta ha in sé il coraggio di dire e fare quello che intimamente sente.
E nel farlo ci restituisce un libro assolutamente vero. Senza filtri, senza tentativi di blandire il lettore, di santificare una lotta, di giudicare una debolezza.
Ci si può ritrovare o meno in Modesta, ma non si può negare a Goliarda Sapienza quello che lei stessa a scritto “Le parole nutrono, e come il cibo vanno scelte bene prima di ingoiarle”. E lei le ha scelte e dette tutte. Una per una. Non nascondendoci nulla.