Quando durante la lavorazione di Il diavolo è femmina i costumisti della Rko le nascosero un paio di pantaloni maschili, lei non fece una piega.
Uscì dal camerino in mutande e girò per gli studi mezza nuda rifiutandosi di indossare qualsiasi altro indumento.
Katharine Hepburn era così, indomita. Una protofemminista quando anche il femminismo era agli albori.
“Se segui tutte le regole ti perdi la metà del divertimento” ripeteva sempre e così è stato per tutta la sua vita. Che fosse destinata ad avere un temperamento deciso, una personalità spiccata e una intelligenza curiosa e aperta era scritto nel dna. La mamma era una suffragetta, il padre un urologo che a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento parlava di prevenzione di malattie veneree. Insomma, redtop (come la chiamavano affettuosamente in famiglia) è nata nel futuro a dispetto di quella data scritta sul suo certificato di nascita: 12 maggio 1907.
Il regista George Cukor quando la vide recitare in uno spettacolo universitario decise di ingaggiarla. Fu così catapultata al fianco di John Barrymore, uno dei padri fondatori di Hollywood, ma non ne fu per nulla intimorita. Cukor di lei disse “quella strana creatura diversa da tutte le altre, talento puro in azione”. Il New York Times scrisse “la caratterizzazione della signora Hepburn è una delle più belle viste sul grande schermo”. Aveva solo 25 anni.
Per il suo secondo film, La falena d’argento di lei i critici dissero “i suoi manierismi costringono all’attenzione e affascinano il pubblico”. Con il terzo, La gloria del mattino, vinse il suo primo Oscar.
Per il quarto, Piccole donne, interpreta una Jo ancora oggi irraggiungibile e lei stessa disse “sfido chiunque ad essere brava quanto me”.
Arriva una battuta d’arresto quando contemporaneamente recita a teatro per The Lake e al cinema con Argento vivo. Una debacle. Dorothy Parker con la sua penna corrosiva scrive “Katharine Hepburn è capace di recitare tutta la gamma delle emozioni dalla A alla B”.
Lei incassa il colpo e decide di appendere nella sua camera da letto una sua foto mentre interpreta Trigger Hicks, un monito ad essere umile.
I fiaschi al botteghino le valgono il soprannome di velenosa Kate. Ma Katharine Houghton Hepburn, donna che già nel 1907 sfoggiava il doppio cognome di madre e padre è nata indomita, cresciuta per non farsi fermare dalle avversità, abituata a nuotare nel gelido mare d’inverno sino agli ottant’anni. Prende in mano il suo destino. Decide di lavorare a teatro in Scandalo a Philadelphia, per farlo, rinuncia al suo cachet, accontentandosi di una percentuale sugli incassi. Inutile dire che fu un successo clamoroso. Howard Hughes, suo compagno dell’epoca compra e le regala i diritti cinematografici che lei vende alla Metro Goldwyn Mayer imponendo le sue condizioni: scegliere il regista, scegliere la protagonista, scegliere i co-protagonisti maschili.
La protagonista naturalmente sarà lei, come regista sceglie Cukor, e come partners maschili indica Clark Gable e Spencer Tracy, entrambi però impegnati su altri set. Così la Mgm per non farsela scappare le promette James Stewart e 150mila per chiamare chiunque altro lei avesse voluto. Sceglie l’amico Cary Grant.
Il risultato è quasi scontato, questa volta i critici tornano sui loro passi “Torniamo indietro Kate, tutto perdonato”.
La rivista Life si spinse oltre “Quando Katharine Hepburn si mette a recitare Katharine Hepburn, è uno spettacolo da non perdere. Nessuno può reggere il confronto”.
Dopotutto parliamo dell’attrice che l’American Film Institute ha posto al primo posto nella classifica delle star più importanti della storia del cinema, dopo di lei Bette Davis, Audrey Hepburn, Ingrid Bergman.
Volava sempre alto, planava sul mondo senza mai calpestare la terra. Frank Capra disse di lei “Ci sono donne e donne, poi c'è Kate. Ci sono attrici e attrici, poi c'è Hepburn”.
La relazione con Spencer Tracy ha segnato l’intera sua vita. Lui cattolico di origini irlandesi, non lasciò mai la moglie Louise e annegò nell’alcool i suoi sensi di colpa per la malattia del figlio John, nato sordomuto. La tradì innumerevoli volte ma le rimase sempre accanto e quando lui morì di infarto poche settimane dopo aver concluso le riprese di Indovina chi viene a cena, Katherine per rispetto della moglie non andò al suo funerale “Io sono atea e basta. Credo che non ci sia niente da sapere, l'unica cosa che dovremmo fare è essere gentili gli uni con gli altri e fare quello che possiamo per altre persone”. E così fece, per tutta la vita. Confessò pubblicamente la relazione con Tracy solo dopo la morte di Louise.
Dopo la sua morte non si ritirò, non si ripiegò nel suo dolore, ma continuò a lavorare, a vivere. E quando Peter O’ Toole attraversò l’oceano per convincerla a girare Il Leone d’inverno, lei non solo accettò ma fu talmente grande la sua interpretazione da vincere il suo terzo ma non ultimo Oscar.
Sul set era una maniaca del controllo, abiti, luci, scene, battute e questo contribuiva a renderla l’attrice che era. Tennesse Williams che scrisse Improvvisamente l’estate scorsa dopo aver lavorato con lei disse “Kate è l’attrice sognata da ogni drammaturgo. Fa risultare migliori i dialoghi grazie ad una dizione impagabile per chiarezza e bellezza, e grazie ad un'intelligenza così sensibile da illuminare ogni sfumatura nelle battute. Riempie ogni azione, ogni frammento del testo con l'intuito di un artista che sia nata soltanto per quello scopo”.
Immensa, grandissima. Sempre ironica. Beffarda. A chi le chiedeva dei figli non avuti lei rispondeva “Ne ho cinque, due bianchi e tre neri”.
Fu amata e amò molti uomini. Howard Hughes le promise il mondo intero se fosse diventata sua moglie. Ma lei bastava a se stessa. Dopotutto “Ogni attrice al mondo avrebbe desiderato essere Katharine Hepburn”.
A dirlo fu Elizabeth Taylor.