Un altro mondo ci aspetta. Un mondo senza pregiudizi, senza lotte di classe, senza paura. Un mondo in cui vivere non sia una lotta continua.
Nel 1962 James Baldwin scrive Another Country (Un altro mondo) e attira su di sé le feroci critiche delle Black Panther, che lo accusarono di odiare i neri, per i riferimenti all’omosessualità inseriti nel libro.
In un rimando continuo di discriminazioni Baldwin in quel libro aveva già capito tutto “E non solo per il silenzio di chi faceva la guerra - un silenzio che comunque era spettacolare nel suo essere così rumoroso - ma anche per il fatto che di una battaglia ognuno sapeva soltanto ciò cui aveva accettato di prendere parte”.
Le battaglie di Un altro mondo sono infinite, quasi tutte, la questione razziale, l’amore, l’amicizia, la lotta di classe, la paura di non riuscire ad essere se stessi sino in fondo, il momento in cui ti vendi per avere qualcosa.
In questo libro riedito ora da Fandango con una traduzione di Attilio Veraldi c’è tutto il mondo che ancora oggi viviamo.
Il cuore e la cornice di tutto il libro, è lo stesso Baldwin a definirli “Rufus Scott è il cadavere nero che galleggia nella psiche della nazione.”
James Baldwin non è tenero, non utilizza sfumature, ma è crudo, come è cruda la vita negli anni Sessanta negli Stati Uniti.
Il libro è un intreccio di vite, Rufus batterista jazz nero schiacciato dal peso delle aspettative e di un futuro che non sa come prendersi. La sorella Ida, rabbia e orgoglio allo stato pure. Vivaldo, l’amico bianco, scrittore talentuoso anche lui fermo nel pantano del presente e poi Richard e Cass, l’apparentemente classica coppia borghese e progressista e poi Eric ed Yves, l’amore.
“Forse ognuno di noi riesce a sgravarsi di un segreto soltanto quando lo porta faticosamente alla luce del mondo e lo impone al mondo, lo inserisce nell’esperienza del mondo. Senza questo sforzo, i segreti restano per noi una prigione, nella quale possiamo anche morire; senza questo sforzo, in realtà il mondo intero per noi non è altro che tenebra inospitale”. Quella tenebra inospitale è ciò contro cui cercano di combattere tutti, Cass nata bianca e privilegiata che non vuole spegnersi in una vita già scritta, Vivaldo, uomo bianco che ama una donna nera in una New York ostile.
“Si, forse avevano avuto paura che a guardarsi troppo da vicino entrambi avrebbero trovato l’abisso. In fondo al suo cuore, il nero odiava il bianco perché era bianco. In fondo al proprio cuore lui, Vivaldo, aveva odiato e temuto Rufus perché era nero”.
Tutto viene viziato dall’ombra del pregiudizio razziale, l’amicizia tra Vivaldo e Rufus, l’amore tra Vivaldo e Ida. Impossibile dimenticare il passato, anche se di quel passato non si è direttamente responsabili.
Non è un libro per chi ama il lieto fine. E’ un libro per chi sa che “Quasi sempre gli uomini non sopravvivono veramente agli avvenimenti terribili della vita, e tuttavia non può dirsi che siano morti. Sii sii storditi dal colpo; dopodiché trascorrono la loro vita nel limbo di un dolore negato e inesplorato. Il grande interrogativo che gli resta davanti adesso era questo: era mai stato davvero presente alla sua vita? Se lo era mai stato, allora lo era ancora, e il mondo gli si sarebbe rivelato”.
Baldwin da quell’America è scappato, fuggito, alla ricerca di una vita che potesse chiamarsi tale.
“Ma solo l’amore può compiere il miracolo di rendere una vita sopportabile, solo l’amore, e anche l’amore non basta”.
O forse sì.