Sono donna, nera, povera, disabile, immigrata, ebrea, omosessuale, meridionale, grassa e mentalmente instabile.
Sono tutto ciò che può essere considerato diverso.
Black lives matter? La verità è che una singola vita non vale niente. Che sia di un nero, di una donna, di un immigrato, di un disabile, di un povero, di una persona fragile, di un anziano, di un omosessuale, di un pazzo.
Siamo tutti nati sul lato sbagliato della strada prima o poi nella vita.
Siamo tutti ai margini di una società che non ci appartiene e nessuno varrà mai nulla se continuiamo ad essere divisi e ad autoisolarci. La differenza è sempre lì.
Stephen Biko fu arrestato, sottoposto a torture per 22 ore durante l’interrogatorio, fu trasportato dalla polizia a Pretoria nel bagagliaio di un’auto, sofferente per i colpi ricevuti, senza aria, senza luce, senz’acqua, senza poter muovere un solo muscolo. Ultima umiliazione per un ragazzo che voleva solo essere libero.
Viaggiò in queste condizioni per 110 km, morì subito dopo il suo arrivo, per lesioni cerebrali conseguenti ai colpi in testa che subì. Dissero che era morto per lo sciopero della fame che si era autoimposto. Era il 1977.
Nulla è cambiato. Se non impariamo dalle parole di uno studente morto trentenne per un ideale di uguaglianza: “la forza dell’oppressore è nella mente dell’oppresso”.
Se continuiamo a demandare ad altri le nostre decisioni, se continuiamo a farci dividere senza imparare nulla dalla storia, nulla cambierà.
Con il divide et impera i romani hanno conquistato il mondo. E oggi, dopo quasi due millenni di terra e fango, di esseri umani nati liberi e morti schiavi, che siano donne uccise per un delitto d’onore mai cancellato o ragazzi afroamericani sul ciglio di una strada ci facciamo ancora dividere e rendere piccoli e indifesi.
Non credo nelle vetrine di un post nero che invade una vita non reale. Non credo in una enorme donazione di denaro fatta a favore di riflettori.
George Floyd non è morto oggi.
È morto il 4 aprile 1968 quando uccisero Martin Luther King con un colpo alla testa.
E’ morto nel 1654 quando John Casor fu il primo uomo africano ad essere dichiarato schiavo per la vita.
Nel 1939 quando Billie Holiday per la prima volta intonò Strange Fruit al Café Society di New York.
George Floyd muore ogni giorno da centinaia d’anni. Perché tutto ciò che è accaduto è successo invano.
“Gli alberi del Sud portano uno strano frutto, corpi neri oscillano nella brezza del sud, strani frutti appesi agli alberi di pioppo, scena pastorale del prode sud, gli occhi sporgenti e la bocca contorta, profumo di magnolie, dolce e fresco poi l’improvviso odore di carne bruciata”. Fu Abel Meeropol insegnante ebreo-russo del Bronx a scriverla dopo aver visto le foto del linciaggio di Thomas Shipp e Abram Smith a Marion nell’Indiana.
Parlò dell’orrore in versi, ne venne fuori una poesia Bitter Fruit pubblicata sotto pseudonimo sulla rivista New York Teacher e sul giornale comunista New Masses e questo sentire comune di una ingiustizia, che in quanto tale è universale, la rende ancora più potente.
Ma purtroppo sono parole al vento.
Era il 1982 quando Alice Walker scrisse Il colore viola raccontando la vita di una donna nera nella prima metà del Novecento. Bistrattata, picchiata, umiliata, considerata alla stregua di una schiava anche dalla sua stessa famiglia, perché non solo era nera, ma anche donna e brutta.
Nell’85 Steven Spielberg ne fece un film, edulcorando un po’ la storia probabilmente per arrivare al maggior numero di persone possibile. Conteneva troppe ingiustizie tutte insieme il libro. Troppe da digerire nelle due ore e mezza di durata del film.
Nel 1989 Trisha Meili, una ragazza di 28 anni fu assalita e stuprata mentre correva tra i viali di Central Park. Furono accusati e arrestati 5 ragazzi poco più che bambini, 4 neri e un ispanico. Più minoranza di così.
Furono costretti a confessare un crimine che non avevano commesso. Furono incarcerati e solo nel 2002 quando il reale aggressore confessò il crimine, furono liberati e scagionati. Lo scorso anno Ava DeVernay ha scritto una miniserie sull’accaduto, When they see us. Trent’anni dopo ancora attuale.
Il 26 dicembre 1965 la 17enne Franca Viola fu rapita da 13 uomini. Distrussero la sua abitazione, aggredirono la madre che cercava di proteggerla, la rapirono, violentarono, picchiarono. Fu segregata per otto giorni in un casolare, da un uomo che alla fine ebbe l’ardire di chiedere alla famiglia di Franca di sposarla per salvaguardare il suo onore. Tutto perfettamente normale nell’Italia del boom che avrebbe additato, screditato, umiliato la vittima perché l’onore di una donna era nel matrimonio, non nel suo diritto di essere inviolata.
Franca si rifiutò di sottostare al matrimonio riparatore che l’avrebbe violata per la seconda volta. Prima donna in Italia a prendere una decisione del genere. In una nazione che per legge sanciva il diritto del violentatore di lavarsi di ogni peccato con una fede nuziale.
L’articolo 544 del codice penale recitava “Per i delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio, che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali”.
Passarono 16 anni prima che lo Stato italiano decidesse di abrogarla e altri 15 affinché lo stupro non venisse più considerato come un reato contro la morale ma un reato contro la persona. Ma quell’atto di ribellione, la forza e il coraggio di quella ragazzina 17enne è valso a poco se ancora oggi, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila) ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Harvey Milk era un ragazzo intelligente. Nacque a Long Island da genitori ebrei, si laureò in matematica, cercò di vivere la vita che voleva nella libertaria San Francisco. Era omosessuale, un crimine all’epoca. Si candidò quattro volte come consigliere comunale, credendo che prima o poi la gente sarebbe stata pronta ad un consigliere come lui, che credeva che ogni individuo è libero di amare chi vuole. L’ultima volta fu finalmente eletto.
Durante il suo mandato riuscì a far rigettare la Proposition 6, una proposta di legge che prevedeva il licenziamento per gli insegnanti gay.
“Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese” disse in una delle tante videocassette che registrò profeticamente. Fu ucciso da un ex consigliere comunale con 5 colpi di pistola, uno alla mano destra, due in testa e due al petto. Era il 27 novembre 1978.
Nel 1969 un gruppo di studenti di Medicina dell’Università di Parma occupò il manicomio di Colorno per protestare contro il regime violento e disumano con il quale venivano trattati i pazienti. Chi aveva una malattia mentale, ma anche chi era considerato “pericolosamente improduttivo”, anarchici, persone stravaganti, soldati “deboli”, ma anche persone ostili al regime fascista venivano sottoposti ad elettroshock (invenzione italiana dei neurologi Bini e Cerletti), camicia di forza, violenze sessuali, docce fredde e secchiate di ghiaccio, lobotomie, uso massiccio e indiscriminato di psicofarmaci.
Nel 1978 Franco Basaglia firmò una legge che diede dignità di cittadini ai malati. Abolì l’uso dell’elettroshock e della camicia di forza, chiuse i manicomi e stabilì per legge una cosa apparentemente semplice e normale, cioè che chi soffriva di una malattia mentale venisse finalmente considerato un essere umano. Prima di lui, tra le follie del ricovero coattivo in manicomio, c’era l’obbligo di mangiare con scodelle e cucchiai. Niente piatti e posate per i pazzi.
Ma in questo gioco al massacro in cui tutto si ripete senza soluzione di continuità il rischio è quello di far spegnere la speranza in un cambiamento vero e radicale.
George Floyd è morto mille volte, ma a volte, non sempre, rinasce.
E’ rinato il 23 febbraio 1972 quando due uomini bianchi, l’allevatore Rodger McAfee e l’imprenditore Steve Sparacino pagarono i 100mila dollari di cauzione per Angela Davis, attivista per i diritti dei neri, femminista, comunista, filosofa e allieva di Jean-Paul Sastre.
Incarcerata con l’accusa di rapimento, cospirazione e omicidio.
Fu assolta tre mesi dopo, il 4 giugno 1972, da una giuria di soli bianchi, dopo tredici ore di discussione e la sua appassionata e illuminante arringa finale.
Rinasce il 1° dicembre 1955 quando la 42enne Rosa Parks, umile sarta di Montgomery in Alabama, non si alzò per cedere il posto ad un bianco sull’autobus che la portava al lavoro. Fu arrestata, ma il suo gesto portò ad un boicottaggio dei mezzi pubblici che durò 381 giorni, il tempo necessario ad ottenere l’abrogazione della legge sulla segregazione.
Questa è la storia di Hurricane, cantava Bob Dylan nel 1976, un pugile nero accusato di triplice omicidio e condannato a tre ergastoli.
Sarebbe potuto diventare campione del mondo, invece fu rinchiuso in una cella 2 metri per 3. Fu incastrato da poliziotti corrotti, testimoni che giurarono il falso e due gradi di giudizio viziati dal pregiudizio razziale.
Fu inascoltato sino a quando un ragazzino, nero anche lui, di 16 anni, Lesra Martin intelligente ma quasi analfabeta, gli scrisse una lettera. Io credo in te, so che sei innocente. Fu lui a mettere in in moto la macchina che portò alla liberazione di Rubin “Hurricane” Carter, non fermandosi mai sino a raggiungere la Corte Federale che nel 1985 dichiarò l'illegittimità processuale sulla base di un pregiudizio razziale nell’incriminazione di Hurricane.
Non credo che saremo mai uniti quel tanto da amare ogni differenza che ci caratterizza.
Credo che sia una strada scivolosa imporre una visione del siamo tutti uguali, che placa le paure della diversità, imponendo una omologazione disumana.
Continuo a credere che siamo tutti profondamente diversi ed è bello e giusto così. Auspico che ognuno scelga chi e cosa vuole essere.
“Tu scrivi per poter cambiare il mondo, sapendo perfettamente che probabilmente non ci riuscirai, ma sapendo anche che la letteratura è indispensabile per il mondo... Il mondo cambia a seconda di come lo vedono le persone, e se alteri, anche di un millimetro, il modo in cui la gente guarda alla realtà, allora puoi cambiarlo”. Lo scrisse James Baldwin. Erano gli anni Settanta.
Quindi oggi più di allora bisogna ancora credere che vedendo con i propri occhi, leggendo, ascoltando, un cambiamento sia ancora possibile.