Luminoso, freddo, lucente come l’argento.
Federico García Lorca è il simbolo della Edad de Plata spagnola. Poeta, drammaturgo, attivista e sostenitore della repubblica durante la guerra civile, amico di Salvador Dalì, Luis Buñuel e Pablo Neruda che di lui disse “Federico era un lampo fisico, un’energia in moto perpetuo, un’allegria, uno splendore, una tenerezza assolutamente sovrumana. La sua persona era magica e apportava felicità”.
I suoi versi sono intrisi di una fame di vita che sempre lo ha contraddistinto “Ci sono anime/sulle quali viene voglia di affacciarsi/come ad una finestra piena di sole” ma era a tratti cupa, ombrosa, come ignorare i dolori della sua Spagna, come non sentire sulla pelle le ingiustizie di un regime che portò solo povertà e violenza.
In una intervista dirà “Io sono uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; però odio chi è Spagnolo per essere Spagnolo e nient'altro, io sono fratello di tutti e trovo esecrando l'uomo che si sacrifica per una idea nazionalista, astratta, per il solo fatto di amare la propria Patria con la benda sugli occhi. Il Cinese buono lo sento più prossimo dello spagnolo malvagio. Canto la Spagna e la sento fino al midollo, ma prima viene che sono uomo del Mondo e fratello di tutti. Per questo non credo alla frontiera politica”. Impegno, disincanto, passione, amore, rigore morale, tutto si sussegue nei suoi versi.
“Vorrei restare nelle tue labbra/Per estinguermi nella neve/Dei tuoi denti./Vorrei restare nel tuo petto/Per dissolvermi in sangue./Vorrei fra i tuoi capelli/D’oro per sempre sognare,/Che il tuo cuore si facesse/Tomba del mio che soffre,/Che la mia carne fosse la tua carne,/Che la mia fronte fosse la tua fronte./Vorrei che l’intera anima mia/Entrasse nel tuo corpo minuto,/Ed essere io il tuo pensiero,/Ed essere io la tua veste bianca,/Perché tu t’innamori di me/Con passione così ardente/Da consumarti mentre mi cerchi/Senza ormai più potermi trovare./Perché tu te ne vada gridando/Il mio nome verso i tramonti,/Domandando di me all’acqua,/Bevendo triste le amarezze/Disseminate lungo il sentiero/Dal mio cuore nell’amarti./E intanto io penetrerò/Nel tuo dolce e fragile corpo,/Divenendo, oh donna, te stessa,/E restando per sempre in te,/Mentre tu invano mi cercherai”.
E ancora “Vederti nuda rievoca la Terra,/la Terra liscia, sgombra di cavalli./La Terra senza un giunco, forma pura/chiusa al futuro: limite d’argento./Vederti nuda è capire l’ansia/della pioggia che cerca esile vita,/la febbre del mare dall’immenso volto/che non trova la luce della guancia./Il sangue, risuonando nelle alcove,/giungerà con le spade sfolgoranti,/tu però non saprai dove si celano/il cuore di rospo o la violetta./Il tuo ventre una lotta di radici,/alba senza contorno le tue labbra./Sotto le rose tiepide del letto/i morti gemono aspettando il turno”.
Il 16 agosto 1936 era a Granada, a casa di amici, quando viene arrestato, le autorità promettono di rilasciarlo, mentono. Quella stessa notte il governatore José Valdés Guzmán dà ordine, segretamente, di procedere all’esecuzione. Viene fucilato da uno squadrone delle forze nazionaliste e il suo corpo fu poi gettato “in un burrone ad alcuni chilometri alla destra di Fuentegrande”. Se i suoi resti non furono mai ritrovati, restano i versi a cantare le sue parole. Voleva morire in Spagna, rifiutò l’asilo politico di Colombia e Messico, era disposto a restare solo, dopotutto “La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”.