Michela Murgia affronta una questione universale chi siamo? Perché apparteniamo a un luogo? Possiamo definirci senza evocare sangue e suolo?
“È cittadino chi sceglie di riconoscersi nel destino quotidiano di una data comunità costituita e affronta il percorso per farsene riconoscere partecipe, senza che questo implichi l’adesione a qualcosa di diverso dalle leggi che quella comunità si è data”.
Che semplicemente è “la sola forma di cittadinanza che va nella direzione di una diminuzione del conflitto sociale”.
Non si arrende alla constatazione che l’attribuzione della cittadinanza avvenga prescindendo “dal dato di libertà a cui la nostra modernità attribuisce il massimo valore: la volontà personale che si esercita coscientemente attraverso la scelta”.
L’integrazione così come viene attuata oggi è più che altro una assimilazione culturale che porta all’inevitabile risultato che nel migliore dei casi avremo una società multietnica ma non multiculturale, dove l’unico modello valido sarà quello preesistente e nessuno potrà determinarsi seguendo un’altra via.
“Occorre essere consapevoli che i confini dell’identità non ci circondano: ci attraversano”.
Il pensiero di Michela Murgia è sempre lucido e ampio, calmo e illuminato. Nel piccolo e prezioso Futuro Interiore, edito da Einaudi parla dei luoghi creati per essere vissuti dalle persone e in questo non si può prescindere dalla bellezza che è per Murgia “una questione politica. Ogni volta che ce ne scordiamo o che la consideriamo secondaria ci ritroviamo in mano a governanti che della politica non hanno alcuna visione estetica e, convinti che il mondo si possa ridurre a funzione, agiscono dimenticando che invece è relazione”.
Ci induce a pensare, riflettere e ci lascia verità assolute e indimenticabili “Chi nasce nella bellezza crescerà convinto di meritarsi un mondo bello e sarà difficile persuaderlo ad accontentarsi di qualcosa di meno”.