Un portale si apre e trasporta persone, immagini, emozioni, vita, tra lo spazio e il tempo.
L’altrove di Quincy Jones era la musica.
“Non avevo alcun controllo su dove vivevo, nessun controllo su mia madre malata, nessun controllo sulla mia matrigna dal cuore duro e su mio padre esasperato. Non potevo cambiare la soffitta dove dormivo, o fermare le lacrime angosciate del mio fratellino, Lloyd, che a volte piangeva fino ad addormentarsi la notte; non potevo controllare i bianchi arrabbiati che continuavano a chiamarmi n***** quando mi trovavano da solo per strada, o i neri borghesi e gialli che mi consideravano troppo povero, troppo scuro e troppo ignorante per far parte delle loro vite. Ma nessuno sapeva dirmi quanti cambi di accordi sostitutivi avrei potuto infilare nel bridge di Cherokee. Nessuno sapeva dirmi a quale tempo suonare Bebop o A Night In Tunisia” disse il musicista, produttore e scopritore di talenti.
È tutto nelle sue parole quella capacità di travalicare il tempo e lo spazio. Il suo altrove era la musica e con essa è cresciuto o meglio “È stata un’espansione. Non ho cambiato marcia; sono semplicemente entrato in un altro territorio”, la sua era una “mentalità di crescita”. Amava la musica, tutta, purché fosse buona, non c’erano generi, limiti autoimposti, era curioso di tutto e quando la musica lo portava altrove lui saliva in groppa e volava via. “Se vuoi sapere devi andare” ripeteva sempre, per comprendere le persone, le culture, le tradizioni ci si immergeva.
Cresce a Seattle, compagno di scuola di Ray Charles, a 23 anni suona la tromba in Heartbreak Hotel, le prime sei esibizioni di Elvis Presley in tv. A 24 si trasferisce a Parigi per studiare composizione con Nadia Boulanger, insegnante tra gli altri di Philip Glass.
Di quegli anni parlerà lui stesso “Notte dopo notte, mentre entravo e uscivo da club, bar e locali notturni con la mia tromba sotto il braccio e i miei spartiti infilati sotto la maglietta, un piccolo barlume di qualcosa di nuovo cominciò a emergere nella mia vita, qualcosa che non avevo mai avuto prima”, sente che qualcosa stava arrivando così come sentiva la musica e il talento, anche se nascosto sotto una duna nel deserto. Capisce subito di dover fare un salto, di dover evolversi ancora “Avevamo la migliore band jazz del pianeta, eppure stavamo letteralmente morendo di fame…È stato allora che ho scoperto che c’era la musica e c’era il business della musica. Se volevo sopravvivere, dovevo imparare la differenza tra le due cose”.
Ha composto oltre 30 colonne sonore, primo afroamericano a firmarne una grazie al sostegno di Henry Mancini, Sidney Poitier e Sidney Lumet, che lo chiamò per L’uomo del banco dei pegni. A 35 anni è il primo afroamericano a ricevere due nomination all’Oscar nello stesso anno, una delle due per A sangue freddo nonostante le pressioni di Truman Capote, per farlo rimuovere dal film. Capote chiamò il regista Richard Brooks “Richard, non capisco perché hai un negro che fa la musica per un film in cui non ci sono persone di colore”, la risposta fredda e laconica di Brooks fu “Fanculo, sta facendo la musica”. Il film vinse l’Oscar e Capote in seguito si scusò con Jones. Divenne il primo afroamericano a rivestire un ruolo dirigenziale in un’etichetta musicale, la Mercury, di cui divenne vicepresidente, anche grazie al sostegno del fondatore Irving Green. Il suo primo numero 1 in classifica fu l’arrangiamento di un brano pop bop, It’s my party, cantato da Lesley Gore. Vinse il suo primo Grammy a 31 anni per il miglior arrangiamento di I can’t stop loving you della Count Basie Orchestra. Iniziò a lavorare con Frank Sinatra per lo show live Sinatra at the sands, arrangiandogli Fly me to the moon. Trascorsero intere nottate svegli a lavorare con Jones che scriveva e riscriveva la musica e Sinatra che gli preparava le uova strappazzate. Fu a Jones che lasciò per testamento il suo anello con lo stemma siciliano della famiglia Sinatra e Jones lo portò per tutta la vita. Ed è sempre a Sinatra che si deve il soprannome Q. Una lettera era tutto ciò che serviva per identificarlo. Solo lui era Q.
Compra i diritti del libro di Alice Walker Il colore viola e chiama una giovane e allora sconosciuta Oprah Winfrey per l’adattamento cinematografico del film che sarà diretto da Steven Spielberg. Altra nomination agli Oscar.
Porta di pari passo il suo lavoro musicale e cinematografico con l’impegno sociale e filantropico. Sostenitore di Martin Luther King negli anni Sessanta, crea la Quincy Jones Listen Up Foundation per costruire case in Africa e aiutare i giovani con progetti di educazione musicale e culturale.
Nel 1985 è artefice e direttore d’orchestra del più grande fenomeno musicale di sempre We Are The World, scritta da Michael Jackson e Lionel Richie e prodotta da Jones per raccogliere fondi per l’Etiopia.
Stevie Wonder in una intervista ricordò il momento in cui Quincy Jones entrò nella stanza con tutte quelle star e disse “Lasciate i vostri ego alla porta”. Tutti in silenzio, dirige il Maestro.
Con Michael Jackson ha creato i suoi più grandi capolavori, nel 1979 Off the wall, nel 1982 Thriller (l’album più venduto di sempre) e nel 1987 Bad.
In una intervista a Billboard nel 2013 di quegli anni disse “Penso che si possa dire con certezza che ciò che noi – Michael Jackson, io, Rod Temperton, Bruce Swedien, Jerry Hey, Greg Phillinganes e tutto il mio A-Team di studio – abbiamo fatto con Off the Wall, Thriller e Bad non sarà mai eguagliato…È stata la convergenza perfetta di talento, esperienza e tempismo. Con spazio sufficiente perché Dio potesse attraversare la stanza”.
Viveva in una casa sulle colline di Bel Air comprata da Julio Iglesias, con un’enorme stanza circolare circondata da un giardino tropicale e 100 altoparlanti alimentati dai suoi tre sistemi audio Creston, che pompavano jazz e musica classica per tutta la sera.
Ha creato, scoperto, suonato per tutta la sua vita, non si è mai relegato al ruolo della vecchia star da omaggiare. Ha prodotto Willy il principe di Bel Air, e in passato le colonne sonore del Bill Cosby Show, Ironsides e Sanford and Son.
Dall’ego smisurato di Bono Vox nel 2008 uscirono queste parole “Quincy Jones era troppo cool per essere cool... così ha reinventato l'intero concetto... ha reso distaccato e impegnato, ha fatto scendere gli elitari dall'autobus e premere la carne…La sua rinascita del cool ha comportato un calore intenso, il suo cool sarebbe stato caldo come una bellezza brasiliana, caldo come una regina africana, caldo come le strade appiccicose di New York in estate, il sudore dei ritmi che avrebbe portato alla musica popolare... Il calore intenso dell’uomo stesso ha offerto un nuovo tipo di sensualità al modo in cui un musicista poteva comportarsi”.