Visioni d'insieme

Rocco e i suoi fratelli, un capolavoro per due italie

Rocco e i suoi fratelli, un capolavoro per due italie

Dal treno si legge una scritta Bari-Milano, un lungo viaggio nello spazio e nel tempo tra due italie.

Due Paesi che parlano lingue diverse, hanno tempi diversi e ragioni differenti. In sottofondo la canzone Paese mio, scritta da Nino Rota e cantata da Elio Mauro.

Rocco e i suoi fratelli racconta di “d’una umanità e d’una civiltà che, mentre non hanno avuto che briciole del grande festino del cosiddetto miracolo economico italiano, attendono ancora di uscire dal chiuso di un isolamento morale e spirituale che è tuttora fondato sul pregiudizio tipicamente italiano che tiene il Mezzogiorno in condizioni di inferiorità rispetto al resto della nazione” come spiegò lo stesso Luchino Visconti che per dare forma alla sua visione chiamò intorno a lui Vasco Pratolini e Suso Cecchi d’Amico che coscrissero con Visconti il soggetto, Pasquale Festa Campanile che contribuì con gli altri alla sceneggiatura, Giuseppe Rotunno alla fotografia, eterna e inimitabile, tanto da far dire a Martin Scorsese “Il bianco e nero di Rocco e i suoi fratelli è uno dei più belli che io abbia mai visto, la fotografia del grande Giuseppe Rotunno ha un aspetto perlaceo, lucente ed elegante”. A dare un volto ai suoi personaggi Alain Delon, che diventa sullo schermo Rocco Parondi e i suoi fratelli  Renato Salvatori (Simone), Max Cartier (Ciro), Rocco Vidolazzi (Luca), Spiros Focas (Vincenzo) e ancora Annie Girardot (Nadia), Paolo Stoppa (Cerri) e Claudia Cardinale (Cinetta Giannelli).

Il nome Rocco è un omaggio al poeta lucano Rocco Scodellaro, tanto amato da Visconti, e al suo Contadini del Sud. L’ispirazione per un film di sconfitta, famiglie che si disaggregano e ingiustizia sociale gli viene leggendo Il ponte di Ghisolfa di Giovanni Testori, Giovanni e i suoi fratelli di Thomas Mann e L’idiota di Dostoevskij.

Il destino che bussa alla porta, la parvenza di una solidità illusoria, il fallimento di una società che si immagina progredita e proiettata al futuro e invece si disintegra sotto il peso delle sue miserie e il Meridione d’Italia, sempre ai margini di un destino scritto da altri.

Nemo profeta in patria, soprattutto Visconti con il suo spirito così fuori dal tempo.

Rocco e i suoi fratelli fu odiato da politica e chiesa e fu molto amato dal pubblico.

Critiche e censure piovvero inesorabili sul capolavoro di Visconti, contestando ogni aspetto della pellicola. Anche la scelta del cognome dei protagonisti fu oggetto di biasimo. Pafundi, per alcuni tipico di famiglie benestanti era considerato fuori luogo. In realtà il nome fu un’idea di Suso Cecchi D’Amico che in Germania, durante la lavorazione dei Magliari di Franco Rosi conobbe un operaio lucano di nome Vincenzo Pafundi, gli sembrò un nome perfetto. 

Il più grande nemico di Rocco e i suoi fratelli fu la democrazia cristiana che mise in atto un boicottaggio senza pari.

Il 13 aprile 1960 la lavorazione venne fatta sospendere dal presidente della provincia di Milano, il democristiano Adrio Casati che non permise le riprese all’idroscalo nonostante tutti i permessi necessari fossero già stati dati. Motivò la sua decisione su una presunta base di inadeguatezza dell’opera “non molto morale e denigratoria…Noi non abbiamo concesso il permesso a Luchino Visconti e alla sua troupe di girare all’Idroscalo alcune scene di Rocco e i suoi fratelli perché riteniamo che non si tratti di una pellicola propriamente di… bella vita. Noi pensiamo che l’Idroscalo stia per diventare il polmone della città: un luogo per gente sana, sportiva, per i giovani. Non desideriamo che se ne offra una diversa interpretazione. Nel negare il permesso non abbiamo commesso alcun atto di arbitrio. La Provincia esercita un suo legittimo diritto di padrone di casa che accoglie gli ospiti che più gradisce” scrisse un moraleggiante Casati, falsamente ignaro per ragioni politiche della realtà in cui viveva. 

La mattina in cui l’uccisione di Nadia doveva essere girata fu trovato all’idroscalo - a pochi passi dal luogo scelto per il set - il cadavere di una mondana uccisa con trentotto coltellate.

In un clima ostile il film fu proiettato al Festival di Venezia, le pressioni della politica e della chiesa per non fargli assegnare il Leone d’Oro prevalsero sulle ragioni del cinema.

Il Conte rosso, così come veniva soprannominato Visconti per le sue opinioni politiche, vinse comunque il Gran Premio della giuria a Venezia.

 Dopo la prima proiezione a Milano il 14 ottobre 1960, il procuratore capo della Repubblica di Milano, Carmelo Spagnuolo convocò il produttore Goffredo Lombardo richiedendo quattro tagli per totali 15’, compreso l’omicidio di Nadia. Intervenne anche il cardinale Domenico Tardini, segretario di Stato, chiedendo la censura di “certi film distruttivi”. Il negativo fu sequestrato il 27 ottobre, il produttore Goffredo Lombardo all’oscuro da Visconti trattò, politica e chiesa forzarono la mano, il film aveva già ottenuto il visto della censura. Lombardo ottenne che le scene fossero oscurate e non tagliate, in teoria il proiezionista doveva operare di volta in volta l’oscuramento.

Visconti nascose una copia integrale del film per anni, convinto della necessità della sua interezza.

La censura e i metodi utilizzati per boicottarlo lo mandarono su tutte le furie.

Presentò L’Arialda di Testori a teatro, una sorta di prosecuzione di Rocco e i suoi fratelli, anche quest’opera fu sequestrata per oscenità. Il braccio di ferro continuava.

Il film rimaneggiato incassò nelle sale di seconda e terza visione più di quanto incassò in quelle di prima, caso più unico che raro. 

Ci furono due italie dentro e fuori dalla pellicola. L’Italia che voleva che tutti sapessero cosa stavano vivendo e quella che in Luchino Visconti vedeva solo un essere blasfemo e osceno, già dai tempi di Ossessione, in alcune sale  in alcune sale le poltrone venivano benedette dopo la proiezione del film.

La gente era con lui, il film fu un successo di pubblico. Dodici milioni di italiani andarono al cinema per vederlo.

Per vedere raccontata la loro vita, una verità senza menzogne. Ne erano state raccontate troppe e per troppi anni. Per sei anni cercarono invano di osteggiare Visconti e il suo film, nel 1966 fu assolto, pur rimanendo il divieto per i minori di 18 anni. Nel frattempo il film fece il giro del mondo, a New York dopo una proiezione, l’8 settembre 196, lo scrittore Romano Giachetti scrisse una lettera al regista “Caro Visconti, ho appena visto Rocco e i suoi fratelli in un cinema della Seconda Avenue. L’emozione è stata grande. Luca se ne andava verso il profilo chiaro di Milano; nel cinema parecchia gente piangeva; poi sono venute le luci, e noi, alcuni miei amici ed io, siamo rimasti in silenzio, senza guardarci, senza poter dire una parola, mentre da più parti si udiva un commento solo: ‘Wonderful’. Allora siamo usciti, ancora senza parlare, e quando ci siamo guardati negli occhi abbiamo provato tutti una gran voglia di abbracciarci”.

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