La tendenza a intrupparsi non si è persa. Girano insieme, nuvole composte da infinitesimali particelle d’acqua, insieme temporale.
Aria fresca sempre, a volte un danno annunciato. Si propagano, gli uni dagli altri, uno solo non lo puoi trovare a meno che non stia per raggiungere gli altri e così compiersi. Che siano felici o meno, chi lo sa. Forse si ma non lo sanno, forse amano immaginarsi senza felicità, privi di gioia, forse cercano un malessere, ignari di essere poeti veggenti come profetizzò Rimbaud, grande quanto loro, anzi più piccolo, un nugolo di rabbia, impeto, ideali, amore e libertà. “Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi”.
“Io a 20 anni non ero felice, ma nemmeno troppo infelice” scriveva Montale in una lettera pubblicata da Rubbettino, rimanendo in bilico come un pendolo tra l’essere e il poter essere.
“Pare che abbiano smarrito il senso della loro identità personale. Spesso sono stati corrotti dai loro educatori” scriveva Montale a proposito dei ventenni e ritorna Rimbaud, quella necessaria e improcrastinabile sregolatezza chiarificatrice. Se non ora quando? Ora che il vento è in poppa, ora che si è invincibili, di fronte a un mondo che crede di esserlo per farsi grande. Ora che tutto può essere, basta non credersi infallibili, che è cosa diversa. Fallire e riprovare e fallire ancora e così diventare un capolavoro, che non sia su carta, il compitino a casa di chi senza essere cerca parole per incorniciarsi. Ora che quel caos dentro può generare una stella danzante. Si, si intruppano, perché forse non si credono forti abbastanza. Perché ancora non si vedono. Poi un giorno, basta un indugio, un passo laterale. Un pacco di biscotti che era nel cuore da cinque anni. Un disegno fatto con un gessetto su una lavagna, che resterà a imperitura memoria ed ecco il capolavoro.