Visioni d'insieme

La mia attrazione esistenziale per l'Islanda

La mia attrazione esistenziale per l'Islanda

Nella campagna murgiana, tra ulivi, vite e mandorle, nasce la passione per i numeri che crescendo si trasforma in amore per le parole.

Leonardo Piccione, scrittore pugliese, durante il dottorato di ricerca ha un colpo di fulmine, l’Islanda. Un luogo in cui ora vive, quasi tutto l’anno, lavora, scrive, trova ispirazione. La sceglie come suo luogo dell’anima, una terra in cui a Natale l’unico regalo che le persone si fanno, sono i libri. Una nazione che si regge su due pilastri: la lingua e la letteratura. Dove un comitato si riunisce periodicamente per coniare neologismi, parole di una lingua che è rimasta immutata da sempre, dal tempo dei vichinghi, senza mai evolversi. Nessuna semplificazione, le parole sono una cosa seria. Come quel Ùti ì Bar con cui indicano qualcosa di bello e distante che si riferisce proprio a Bari, città in cui gli islandesi passavano e si fermavano per omaggiare san Nicola, durante i pellegrinaggi in Terra Santa.

Un pugliese che si innamora dell'Islanda. Racconta. Com'è successo questo?

È successo che dall'epoca della scuola ho avuto sempre questo fascino per quest'isola che sugli atlanti fa parte del nostro stesso continente però in realtà è lontana, sta in un riquadro separato dal resto del continente perchè appunto è in una dimensione a sé. E ho sempre desiderato andarci per anni finché poi durante gli anni dell’università ho avuto l'occasione. Ero in Inghilterra per il dottorato di ricerca, ho preso un volo low cost da Londra a Reykjavik e ho avuto finalmente l'opportunità di mettere i piedi su questa terra che mi affascinava da anni e ho capito che al di là del fascino per la natura, per la diversità di questa isola c’era anche qualcosa che aveva a che fare col mio modo di essere, il mio modo di vivere e ho continuato a tornarci per questo fascino che ho scoperto poi essere una un’attrazione, vorrei dire, esistenziale perché alla fine mi sono trasferito lì, passo buona parte del mio tempo adesso in Islanda,  condivido con gli islandesi uno stile di vita, un ritmo della vita che ho trovato lì e che si adatta a come sono io.

Viste dall’esterno, sembrano due terre completamente diverse, la Puglia e l’Islanda, sei riuscito a trovare dei punti di contatto o no?

 Dal punto di vista naturalistico sono molto diversi. Nel senso che anche dal punto di vista climatico è difficile trovare in Europa due posti così opposti nello stesso continente. Però esiste sorprendentemente in un aspetto dello stile di vita islandese qualcosa che è familiare. Venendo dal Mezzogiorno d’Italia che è la capacità o la necessità di improvvisare a volte. Gli islandesi non sono degli scandinavi canonici come possono essere gli svedesi, i norvegesi, tutti organizzati, con i programmi ben fatti. Per via proprio della loro natura, dei vulcani che eruttano, del tempo che cambia, loro hanno una predisposizione naturale a fare le cose all'ultimo momento, a non fare programmi nel lungo termine e a improvvisare come dicevo prima. Quindi se c’è da risolvere un problema all'ultimo minuto usando la fantasia, usando l’estro, loro lo fanno. E questa cosa un po’ ricorda anche il nostro modo di affrontare le difficoltà, non è una cosa sempre positiva. Io la vedo da un punto di vista positivo perché si tratta di vivere nel presente senza fare affidamento troppo sul futuro che, soprattutto oggi, abbiamo imparato a essere un tempo non necessariamente migliore di quello che stiamo vivendo adesso, però ha al suo interno anche un aspetto negativo perché insomma le capacità di programmare è importante e gli islandesi non ce l'hanno tanto così come non ce l'abbiamo forse noi.

Hai studiato statistica ma poi hai iniziato a scrivere. La passione per la scrittura è una cosa che era già in te o è arrivata all’improvviso?

No c'è sempre stata, io ho scritto sempre da quando ho finito la scuola media per il giornalino della scuola, poi ho incominciato a scrivere di sport. Però quando ho scelto il percorso universitario ho scelto la strada più sicura. Avendo la fortuna che comunque andavo bene in tutte le materie a scuola ho scelto una facoltà che mi permettesse più facilmente in futuro di fare qualcosa di concreto nella vita perché la statistica poi si declina in tante forme diverse poi applicarla alla medicina, all'economia, allo sport. Quindi andavo bene in matematica, ho fatto statistica con la speranza poi di trovare subito un lavoro, con molta praticità e concretezza. Però dentro di me questa passione per la scrittura non si è spenta mettendoci i numeri e i teoremi sopra. Anzi pian piano ha cominciato a emergere e proprio durante il dottorato di ricerca in Inghilterra mi sono reso conto che stavo facendo un percorso che non era il mio. Mi piaceva, ho portato a termine il dottorato, però in Islanda prepotentemente è emersa questa necessità di seguire l’indole che lì portava. Sì, ho finito il dottorato, non ho iniziato mai il percorso da ricercatore universitario, non ho fatto un postdoc, non ho fatto nessun assegno di ricerca dopo e grazie all’Islanda e in Islanda ho trovato l’opportunità di dare sfogo a quest’altra passione che adesso è diventata comunque qualcosa di più. Non è ancora un lavoro vero, non sono uno scrittore a tutti gli effetti. In Islanda d'estate lavoro in un albergo, accolgo i turisti quando arrivano la sera e mi divido un po’ tra queste cose. Le parole sostanzialmente hanno preso il posto dei numeri ma non rinnego quel percorso perché comunque mi ha dato un'impostazione, un metodo di ricerca che poi utilizzo anche quando la ricerca non riguarda la statistica ma riguarda le storie che sono le cose di cui mi occupo quando scrivo i libri.

Immagino che la passione per la scrittura sia stata sempre accompagnata anche quella per la lettura. Ci parli di tre libri che per te sono stati fondamentali?

Allora te ne dico sicuramente uno islandese perché in Islanda oltre a trovare l'opportunità di scrivere, avere l'ispirazione, ho avuto anche molto più tempo per leggere. E allora non posso non cominciare dall’unico premio Nobel per la letteratura islandese che si chiama Halldór Laxness, Gente indipendente un librone sulla storia agreste dell’Islanda che non è un popolo ricco, storicamente un popolo di contadini anche in questo forse c'è una somiglianza con la Puglia? In Islanda loro si considerano più agricoltori che pescatori e storicamente loro sono più allevatori e contadini che pescatori. È gente indipendente racchiudono questa mentalità di campagna, la voglia di liberarsi da questo mondo a volte così stringente. L'Islanda fa sognare ma può essere anche asfissiante nelle sue dimensioni. Poi invece un libro che non è islandese L’arte di collezionare mosche di Fredrik Sjöberg un autore svedese che è un tipo di storia che a me affascina molto, non è un romanzo, è una specie di saggio. Lui si appassiona alla collezione degli insetti su un'isola in Svezia e racconta la particolarità e l'ossessione quasi per questa attività. Quindi mette insieme l'esperienza personale, dati oggettivi di scienza sugli insetti e questa osservazione della natura dell’isola in cui lui vive. È un genere un po’ misto di tante cose che poi è quello che cerco di fare io nel mio piccolo, senza inventare una storia dal nulla come si fa nei romanzi, trarre dalla realtà l’ispirazione per queste biografie anche molto curiose. Come terzo libro posso citare un italiano, Viaggi e altri viaggi di Antonio Tabucchi che è una raccolta di tanti suoi scritti di viaggio e credo che lui proprio dal punto di vista dell'osservazione del viaggiatore, degli stili di vita delle culture straniere sia tra gli italiani quello che sicuramente mi ha ispirato maggiormente. Ora non mi pongo assolutamente nella stessa categoria però se mi chiedi uno scrittore di viaggio italiano che ti ispira, a cui vorresti tendere, sicuramente la scrittura pulita di Tabucchi è un punto di riferimento.

Ma come si insegna a una foca a nuotare?

Non si insegna a nuotare a una foca, è quello il segreto, perché lo sanno già fare il titolo di questo libro è un modo di dire islandese che si usa quando stai facendo qualcosa che non ha senso fare. Perché la persona in questo caso a cui vuoi insegnare delle cose lo sa già fare, la foca sa già nuotare, non devi insegnare a nuotare una foca. È un po' ironico nel senso che a volte anche scrivere dei libri è una cosa inutile, è un passatempo, con tante velleità non sempre rispettate Quindi è un po’ un gioco, usare un modo di dire islandese per dire divertiamoci a fare delle cose inutili, che a volte possono servire, anche.

Abbiamo incontrato Leonardo Piccione alla libreria Campus di Bari dove ha presentato il suo libro Insegnare a nuotare a una foca, edito da Utet.

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