Visioni d'insieme

Impacchetterò il mondo

Impacchetterò il mondo

Un ragazzino bulgaro, figlio della segretaria dell’Accademia delle Belle Arti di Sofia si ritrova a 23 anni apolide a Parigi.

L’arte lo salva, inizia a sperimentare, impacchetta piccoli oggetti, bottiglie, tavoli, pensa un po’ più in grande e impacchetta i barili di petrolio del porto di Colonia. La sua compagna e socia Jeanne-Claude Denat lo convince ad osare di più, usare una scala di grandezza che tende all’infinito. Nasce così l’idea di impacchettare i grandi monumenti in giro per il mondo. Nasce in quel momento Christo Vladimirov Javacheff. La scintilla scoppia quando guarda per la prima volta la l’Enigme d’Isidore Ducasse di Man Ray, una macchina da cucire, avvolta in una coperta e legata con lo spago. Ray a sua volta si ispirò allo scrittore Ducasse che una volta scrisse “Bello come l’incontro fortuito, su un tavolo operatorio, di una macchina da cucire e un ombrello”. Nasce un modo nuovo di fare arte e di concepire il mondo. Nel 1962 costruisce un muro di barili di petrolio in rue Visconti a Parigi, un anno dopo che a Berlino hanno costruito il muro, anche se negherà sempre una motivazione politica. Anzi delle loro opere Christo e Jeanne-Claude diranno sempre “I nostri progetti sono totalmente irrazionali, totalmente inutili. Non servono a nessuno, il mondo può andare avanti senza di loro”. Si definiva un marxista erudito che sfruttava le logiche capitaliste per portare a compimento la sua arte, che era sempre gratuita per chi ne fruiva. L’idea alla base di ogni installazione era di trasmettere “la gioia, la bellezza e nessun senso preciso”. Nulla di concettuale quindi, solo una atavica sensazione di benessere. Come fluttuando sul lago di Iseo su una rete di pontili galleggianti d’oro che spiccavano sull’azzurro del mare o ammirando il Reichstag e il pont Neuf impacchettati da drappi bianchi e gialli. Avvolge la Biscayne Bay di Miami con sei milioni di metri quadrati di tessuto rosa shocking. Torna ad utilizzare i barili di petrolio nel 2018 per The London Mastaba, ispirato alle tombe egizie, utilizzando 7mila barili colorati che galleggiavano sul Tamigi. Lo stupore della folla davanti alle sue opere era sempre accompagnato dalle critiche dei puristi dell’arte che più volte l’hanno tacciato di essere bravo solo a fare marketing. Ma far storcere il naso era uno dei suoi intenti dichiarati “L’arte dovrebbe provocare, disturbare, ispirare e sfidarci a vedere il mondo in un modo diverso”. Le critiche erano parte del processo artistico, perché significava che più persone, a volte una intera comunità, si interrogasse su un’opera  d’arte, una discussione non proprio comune. Ricordava sempre i 70 minuti di interrogazione parlamentare a Berlino sull’opportunità di concedere l’autorizzazione o meno per impacchettare il Reichstag. Ed era quella discussione, quel modo di interrogarsi che muoveva le sue visioni, “L’arte ha il potere di innescare il cambiamento, ispirare rivoluzioni e risvegliare menti dormienti”.

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