Sfumature, rifrazioni, indugi e tentennamenti si diffondono a macchia d’olio e chiedono indulgenza a chi li scopre.
“La menzogna è la fuga del pensiero umano di fronte a una contraddizione esistenziale, irrimediabile” scriveva Simone Weil mettendo nero su bianco l’innata incapacità umana di essere sé stessi, di credere.
Sfumature di colore, secondo Alberto Siracusano che le divide in bianche, nere e blu a secondo dello scopo per cui sono create. A fin di bene le prime, a fin di male le seconde, per rafforzare un senso di identità sociale e creare coesione in un gruppo le terze. Vivono di indulgenza quelle dei ragazzi che invocano libertà ed emancipazione, la chiedono quelle degli adulti che costruiscono complicati meccanismi di difesa dal mondo esterno. Un modo per non infrangersi.
“Le bugie costruiscono un dedalo, un labirinto al cui centro c’è un segreto” scrive Siracusano e la sfida di mantenere tutto in piedi è ciò che muove il bugiardo patologico. Una sfida con sé stesso e con il mondo. Un gioco alle volte, funzionale ad un fine “la bugia è una sfida labirintica, una acrobazia esistenziale necessaria” rilanciava Calvino.
Un peso da portare sulle spalle e sul cuore. E se è più facile credere ad una menzogna che alla verità, è anche vero che “L’inconscio è nemico della bugia”, nessuno tende inconsapevolmente all’inganno. Costruzione volontaria della mente che mente a noi stessi. I contorni si sfumano e verità e menzogna si confondono, indistinguibili nel mare di ciò che è “la bugia ha il suono della verità e la verità ha il suono della bugia” diceva Adorno lasciando quindi alla capacità di essere convincenti l’ago della bilancia tra l’una e l’altra.
“Basta una sola menzogna perché il dubbio travolga tutta una vita” scriveva Tondelli. Ed ecco che il castello crolla, la terra frana, e l’essere umano è nudo di fronte a sé stesso e al mondo. Deboli, fragili, pronti a sciogliersi come fiocchi di neve al sole.
Ancora incapaci di essere.
“La verità vi renderà liberi”, non oggi, non ancora.